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Disfunzioni erettili da farmaci: una realtà di cui è vietato parlare

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di Luca Speciani

Molti sono i farmaci in grado di alterare le nostre prestazioni e/o sensazioni sessuali. Dagli antidepressivi agli antipsicotici, dagli antipertensivi alle statine, dai farmaci per la prostata ai sonniferi. Eppure i media sembrano dimenticarsi sistematicamente del problema, che danneggerebbe non poco le vendite di questi farmaci.

Un’erezione difficile

Chiunque sappia di medicina ha ben chiaro che un’erezione maschile è generata dall’afflusso di sangue che inturgidisce i corpi cavernosi del pene. E chiunque si intenda di ipertensione sa che i più noti e utilizzati farmaci antipertensivi (ACE inibitori, sartanici, calcio antagonisti, betabloccanti) agiscono impedendo ai vasi sanguigni di contrarsi, per generare appunto l’aumento di flusso richiesto dall’organismo. Possiamo dunque essere eccitati quanto vogliamo, a livello mentale, ma se siamo sotto gli effetti di uno di questi farmaci, l’erezione diventerà difficile o comunque parziale (come dicono a Milano: l’è barzott!). Le donne, tuttavia, non si sentano escluse. Non tutti sanno, infatti, che il clitoride non è quella “pallina” sporgente sopra la vagina. Quella è solo la punta della piramide. Il clitoride completo ha corpi cavernosi del tutto simili a quelli del pene che avvolgono dall’esterno la vagina. Avere un orgasmo profondo sotto antipertensivi può essere molto più difficile anche per la donna, per gli stessi motivi che lo rendono complesso per l’uomo. Unica consolazione: la donna può fingere, mentre l’uomo in disfunzione erettile no.

Se fossimo tutti un po’ più coscienti del fatto che l’ipertensione si può curare senza grande fatica con un’alimentazione priva di zucchero e sale e con una regolare abitudine al movimento fisico, molti di questi farmaci (che NON curano, ma sopprimono solo un sintomo) resterebbero invenduti sugli scaffali delle farmacie.

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Prostata sana ma voglia zero

Difficoltà erettili, ma anche di semplice virile eccitazione, si possono avere assumendo farmaci per la prostata che inibiscono la formazione di testosterone. Il testosterone è infatti l’ormone del desiderio per eccellenza. L’ormone della virilità. L’ormone che aiuta a costruire muscolo e ad eliminare massa grassa. Quando l’urologo vi trova la prostata un po’ ingrossata, o anche solo un PSA un po’ elevato, ha spesso fretta di prescriverci un inibitore del testosterone (come ad esempio la finasteride). Dovrebbe però prima avvertirci del fatto che la nostra sfera sessuale potrebbe esserne fortemente disturbata, così che ciascuno di noi possa liberamente scegliere se (faccio un esempio limite) morire un anno prima, restando nel pieno delle nostre capacità psicofisiche fino all’ultimo giorno, o vivere fino a novant’anni vivendo gli ultimi venti come un gibbone asessuato. Credo che ciascuno abbia il diritto di poter scegliere. I pazienti che vedo in studio che assumono questi farmaci, tuttavia, non vengono mai avvertiti degli effetti collaterali (tra i quali anche depressione e sarcopenia). Chiunque prescriva un farmaco ha invece il dovere preciso di informare chi lo deve usare degli effetti collaterali dello stesso. Un’abitudine ahimè in disuso, a causa delle pressioni dei produttori sui medici per scrittori.

È una medicina che non ci piace, e non ci stancheremo di ripeterlo.

Gli estrogeni

E le donne? Fortunatamente loro non usano inibitori del testosterone, non disponendo di prostata. Tuttavia usano spesso inibitori degli estrogeni (anche per anni) dopo aver avuto un tumore al seno su base ormonale, rinunciando così a una parte importante della loro bellezza e femminilità, oltre a perdere stimoli sessuali e densità ossea.

Ci sono poi le statine, i farmaci anticolesterolo ahimé diffusissimi nonostante la loro bassa efficacia di prevenzione cardiovascolare, a mettere d’accordo tutti. Perché estrogeni e testosterone non sono altro che derivati del colesterolo. E se io abbasso con una sostanza chimica il colesterolo di un individuo, andrò ad abbassare tutti i suoi ormoni sessuali derivati dal colesterolo, in primis estrogeni e testosterone.

Il testosterone nelle donne è uno dei più importanti ormoni che regolano il desiderio sessuale. Non si lamentino, dunque, gli uomini che ritengono le prestazioni della loro compagna troppo rare. Ne parlino – come dice la pubblicità – col loro medico curante. Sperando che sia informato sui fatti, ma soprattutto che non sia stato formato sul problema dai produttori stessi ai loro convegni.

Psicofarmaci addio…

Non è tutto oro quel che luccica anche nel tempestoso mare dei farmaci psichiatrici. Se creo un farmaco per il diabete o per l’ipertensione, per valutarne l’efficacia devo rilevare una variazione significativa dei valori della glicemia o della pressione. Se la glicemia o la pressione non scendono assumendolo, il farmaco è inutile. Nel caso dei farmaci psichiatrici invece, siano essi tranquillanti, antidepressivi o antipsicotici non c’è nessun valore numerico da alzare o abbassare ma solo l’esito di questionari. Messi a punto da chi? Facile indovinare: dall’industria farmaceutica, ovvero dalle società scientifiche da essa generosamente finanziate.

Vengono dunque approvati psicofarmaci che (come ben messo in evidenza dagli studi di Irving Kirsch, nel suo splendido libro “Antidepressivi, il crollo di un mito”) nella migliore delle ipotesi hanno differenze di efficacia del 25% rispetto ad un placebo, su base questionario. Cioè: il paziente sotto sperimentazione assume una pastiglia che non sa se è un placebo o un farmaco, e poi risponde ad alcune domande su come ha dormito, su come si è sentito ecc.

Si capisce quanto sia facile ingannarsi con questo tipo di controlli, e l’inganno cresce ulteriormente quando Kirsch spiega che nella maggior parte dei casi si ha disvelamento del cosiddetto “doppio cieco” (quella pratica scientifica che richiede che in corso di sperimentazione né il medico né il paziente sappiano se stanno ricevendo un farmaco o un placebo), in quanto il paziente che percepisca gli effetti collaterali tipici di farmaci che è già abituato ad usare, si rende subito conto di essere nel gruppo trattato e può quindi essere condizionato ad una valutazione più positiva.

Tutta acqua fresca, dice quindi Kirsch (che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere di persona ad una conferenza a Milano), che però, in più, provoca dipendenze ed effetti collaterali.

Effetti collaterali disastrosi

Dice Kirsch: un effetto collaterale può avere senso quando “in cambio” si ottiene un risultato efficace sulla salute del paziente. Ma se il risultato è zero, l’etica medica non dovrebbe vietare di nuocere in assenza di qualunque vantaggio? La risposta sembra ovvia, ma ormai le cose stanno così (come Covid insegna): se un criterio, giusto o sbagliato che sia, produce utili per l’industria farmaceutica, non si cambia. Chi ci prova, mostrando come Kirsch su basi scientifiche come stanno davvero le cose, viene isolato, perseguito, espulso dalla comunità scientifica.

Di fatto gli SSRI e SNRI, farmaci antidepressivi di ultima generazione, sono grossomodo degli stimolanti generici (che aiutano il depresso a reagire, rendendolo tuttavia dipendente dal farmaco), mentre benzodiazepine e simili, all’opposto, sono farmaci “ipnotici”, che – in parole semplici – ci stordiscono un po’ per non farci sentire ansia, tristezza e solitudine.

La narrazione di big pharma su questi farmaci è naturalmente molto più poetica, e spazia dalla disponibilità di serotonina cerebrale (recentemente smentita dai lavori di Pinna e altri, che documentano l’impossibilità della serotonina di raggiungere le sinapsi cerebrali) alla presunta innocuità di farmaci ipnotici che danno invece pesanti dipendenze.

Stiamo dunque parlando di farmaci il cui effetto varia dall’acqua fresca fino ad un buon effetto placebo (che nessuno nega) che generano però anche dipendenza, insieme ad un vasto corredo di spiacevoli effetti collaterali che vanno dall’obesità agli sbalzi d’umore, dalle cardiopatie fino (appunto) alle disfunzioni sessuali.

Effetto rebound

Kirsch si chiede dunque se sia etico prescrivere un farmaco sapendo che la sua utilità è grossomodo quella di un placebo, quando regala poi effetti collaterali spiacevoli che a loro volta richiedono altri farmaci in una spirale tanto inaccettabile quanto gradita ai produttori.

Quando qualcuno prova a liberarsi dalla schiavitù della dipendenza farmacologica, scatta il cosiddetto “effetto rebound” (rimbalzo) per cui l’organismo, precedentemente abituato all’uso dello psicofarmaco, reagisce con vere e proprie crisi di astinenza, con sintomi che spesso sono di gran lunga peggiori rispetto a quelli per cui il rimedio era stato assunto all’inizio. La deduzione dei pazienti in quella situazione è quindi di “avere davvero bisogno” di quel farmaco, nonostante gli effetti collaterali, perché senza stanno peggio.

Prescrivere un farmaco in grado potenzialmente di creare un danno permanente all’organismo del paziente è un atto che richiede molta cautela, e soprattutto consapevolezza e consenso da parte del paziente stesso. Quanta fretta invece da parte dei medici nel prescrivere questo e quello. Perché?

Informazione drogata

Il fatto è che la sessualità non viene mai presa in considerazione dalle case farmaceutiche. Tantissimi farmaci (come i già citati antipertensivi, diuretici, tranquillanti, statine, antistaminici, antipertrofia prostatica, pillola anticoncezionale, inibitori estrogenici ecc.) hanno come effetto una riduzione del desiderio sessuale, della funzione erettile o della capacità di provare piacere. Chi se ne frega se il farmaco altera la vita di relazione del paziente? Tanto c’è sempre qualche altro farmaco che può aggiustare il tiro, no?

Se l’informazione sulla difficoltà a riempire i corpi cavernosi di pene e clitoride sotto cura antipertensiva o sotto altri farmaci fosse trasmessa correttamente sui bugiardini e magari anche in TV nelle mille trasmissioni che raccontano le meraviglie dei nuovi miracoli della chimica, forse il consumo di questa classe di rimedi sarebbe un po’ più basso. E se quando a un uomo che si presenta con la prostata ingrossata (che riceverà inevitabilmente la prescrizione di un inibitore del testosterone), venisse spiegato che con tutta probabilità il suo desiderio e la sua erezione ne soffriranno, sono certo che il mercato di questi farmaci si ridurrebbe al lumicino.

Una medicina umana

Il gioco dell’eccitazione sessuale e delle conseguenti erezioni del pene o del clitoride è un gioco complesso. I corpi cavernosi di entrambi i sessi devono riempirsi di sangue, e a questo riempimento è legata la sensazione più o meno forte di piacere che viene provata. Tuttavia, come è chiaro a tutti, non c’è solo la componente fisica. Entrano in gioco fattori nervosi generali e qualunque farmaco in grado di interagire con le nostre capacità sensoriali può alterare il processo. Gli aspetti emotivi, il coinvolgimento, le paure, i condizionamenti possono poi rappresentare la ciliegina sulla torta.

Il medico di segnale che si trovi ad affrontare una problematica di questo genere con un paziente dovrà come sempre lavorare in modo multifattoriale, e cercare di interagire con le cause all’origine del problema. Dissipare le nebbie che avvolgono l’argomento, che usufruisce del complice silenzio di coloro che hanno più a cuore le vendite aziendali rispetto alla salute globale del paziente, è un dovere di tutti. Il medico che si astenga dall’informare i pazienti dei rischi e degli effetti collaterali di un farmaco sta contravvenendo al suo dovere deontologico e si sta rendendo complice dell’industria del farmaco nel nascondere informazioni preziose per una scelta consapevole del paziente. La medicina che ci piace è un’altra: consapevole, informata, vicina – davvero – al cuore e ai problemi del paziente.


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