Chi beve alcol ingrassa?
Il corridore che beva vino o altri alcolici con una certa frequenza corre il rischio di ingrassare a causa di questa abitudine?
Quanti di noi dopo un lungo trail non cedono alle lusinghe di un buon boccale di birra? Si può? Non si può? Fa ingrassare?
Chi pensa che il consumo di alcol faccia ingrassare per il suo alto contenuto calorico è fuori strada. Se è vero che un grammo di alcol vale 7 kcal (più vicino dunque alle 9 kcal di un grasso che alle 4 kcal di uno zucchero), è anche vero che se l’effetto fosse solo quello, gli alcoolizzati cronici sarebbero tutti obesi, il che non è. Spesso infatti i fenomeni tossici, antinutrizionali e di alterazione della regolazione ipotalamica diventano determinanti nell’indurre deperimento nel tossicodipendente da alcol. A me tuttavia preme capire perchè il bevitore abituale, non tossicodipendente, ingrassi.
Cinque assi metabolici
Non è mio interesse indagare qui le capacità “dimagranti” degli eccessi alcolici, evidentemente agenti su base tossica. A noi che ragioniamo di segnale è evidente la differenza tra dimagrimento e deperimento: il primo correttamente a carico della massa grassa, il secondo invece a carico sia del grasso che della massa muscolare
Tale differenza non pare chiara a tutti, quando vediamo il fiorire sul mercato di diete iperproteiche o squilibranti dal forte potere intossicante (magari abbinate a tisane o a pudiche “fasi” di reintroduzione), in cui il calo di peso è dovuto prevalentemente alla deprivazione e all’intossicazione, talvolta teorizzata come unico metodo efficace per scendere di peso. Un dimagrimento vero e stabile (cioè quello che genera perdita di massa grassa) può verificarsi solo all’interno di regimi del tutto normocalorici e riequilibranti.
Il problema alcol si pone dunque (per noi! In passato qualche attricetta si inventò anche la “dieta della vodka!) per cercare di capire quale sia la dinamica biochimica di segnale che possa generare ingrassamento.
L’eccesso di alcol non genera solo grasso, ma anche tossicità epatica. Ma da dove viene l’accumulo di grasso, visto che (in assenza di zucchero, come potrebbe avvenire con un aperitivo o con un superalcolico) il meccanismo dell’insulina non viene scatenato in risposta al bicchiere di vino (o almeno non immediatamente, come succede con una bibita o con un caffè zuccherato)?
La risposta è complessa, ma di notevole interesse.
Gli ormoni e le citochine che rispondono all’assunzione di alcol fanno parte di 5 assi diversi, tra loro correlati:
– Dopamina
– Galanina
– Ghrelina
– Resistina
– Resistenza leptinica
Se provate a chiedere che cosa siano questi ormoni ad un nutrizionista “classico” (quelli delle calorie..) sarà già un buon risultato se li avrà sentiti nominare. Uno su dieci saprà dirvi anche quale sia la loro funzione. Uno su cento saprà anche come utilizzare queste conoscenze per aiutarvi a dimagrire secondo una dinamica di segnale.
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Una suddivisione funzionale
Cerchiamo dunque di capire – in termini semplici – quali siano le interazioni con l’alcol di queste sostanze dal notevole potere regolatorio.
Per incominciare a suddividere gli assi biochimici e metabolici citati in senso funzionale, possiamo dire che dopamina e galanina siano connesse con la tossicodipendenza, ovvero con la ricerca compulsiva di alcol.
La ghrelina lavora su entrambi i fronti: quello del rallentamento metabolico e quello del craving similbulimico di alcolici. Resistenza leptinica e resistina lavorano invece prevalentemente a livello organico nel rallentare fortemente il metabolismo e nell’indurre ingrassamento tramite l’innalzamento della resistenza all’insulina. E’ una suddivisione un po’ “scolastica”, ma utile per incominciare a capirne di più.
Dopamina e ricompensa
Incominciamo con la dopamina.
Il cosiddetto sistema dopaminergico, all’interno del nostro cervello, è costituito da gruppi di neuroni che rispondono alla dopamina o che ne producono, e che regolano – insieme a molte altre funzioni – il sistema di piacere e ricompensa conseguente a determinate nostre azioni. Per capire la potenza di questo sistema spesso porto ad esempio un vecchio lavoro di due ricercatori (Olds e Milner) che piuttosto casualmente si imbatterono nei centri cerebrali deputati al piacere o alla dipendenza (locus coeruleus e nucleus accumbens). I topi di laboratorio che con una levetta si autostimolavano questi centri, arrivavano a morire di sete pur di non interrompere quell’attività!
Molte sono le sostanze in grado di iperattivare questi centri, e tutte tristemente note: dal tabacco agli oppiacei. L’alcol agisce in quelle aree sia attraverso il recettore degli oppiacei, sia con un’azione mirata sui canali ionici di quei neuroni. Ovvero: chi beve alcol tenderà a berne sempre di più perchè ciò eccita i suoi centri di ricompensa del sistema dopaminergico, in modo simile a molte altre sostanze in grado di dare tossicodipendenza. In Italia e in Europa più socialmente accettata di altre, ma sempre tossicodipendenza.
Galanina, ormone antico
Il rapporto tra alcol e galanina è un po’ più complesso. Alasdair Mac Kenzie dell’Università di Aberdeen (Scozia) ha condotto uno studio sull’influenza che la galanina (un entero-neuropeptide) ha sulle nostre scelte alimentari. La galanina stimola il nucleo laterale dell’ipotalamo, determinando una maggiore sensazione di fame, specie verso cibi ad alto contenuto calorico come i grassi e l’alcool.
Secondo i ricercatori scozzesi, la maggiore o minore produzione di galanina è determinata geneticamente.
Il genotipo tipico dei popoli europei, ereditato dai nostri antenati preistorici, determina un aumento della produzione di galanina, quindi una propensione verso cibi più calorici. Questo genotipo è stato selezionato, in termini evoluzionistici, per aiutare i nostri antenati a sopravvivere alle basse temperature delle regioni europee di un tempo. Al contrario nei popoli asiatici non esposti a temperature rigide, si è selezionato un genotipo che determina una minore produzione di galanina. Pertanto mentre nell’Europa antica la maggiore produzione di galanina ha favorito la sopravvivenza, oggi è diventata un fattore predisponente verso l’obesità e l’alcolismo.
La galanina dunque cresce se assumiamo cibi molto grassi, ed anche se assumiamo alcol. Ma l’aumento di galanina genera a sua volta un’ulteriore fame di cibi grassi o alcolici (la somministrazione di galanina nell’ipotalamo di topi sazi, ne stimolava immediatamente l’appetito), in un circolo vizioso che aveva forse un senso nell’ultima era glaciale per le popolazioni costrette a vivere in climi molto freddi, ma che oggi non ha più alcun significato. La mutazione genica che ci ha aiutato a sopravvivere in quei climi, stimolandoci a reperire cibi ricchi di grasso, è casualmente toccata anche dal consumo di alcol, generando un insaziabile desiderio di ulteriore alcol o di ulteriori grassi, col risultato di farci ingrassare a vista d’occhio.
Ghrelina: quando lo stomaco fa grr…
Ormone chiave nell’induzione all’ingrassamento da alcol pare tuttavia essere la ghrelina, enterochina gastrica che ben conosciamo, in grado da un lato di stimolare l’appetito quando lo stomaco è vuoto, dall’altro di rallentare il metabolismo attraverso lo stimolo alla secrezione neuronale di AgRP, una proteina “rallentante” di cui già abbiamo parlato in questa sede. Uno studio italiano che ha coinvolto le Università di Roma e di Napoli e il CNR toscano ha determinato una forte correlazione tra livelli basali di ghrelina e tendenza all’abuso di alcol (misurata attraverso il Penn Alcohol Craving Score). Più alti i livelli di ghrelina e più forte la voglia di bere. Ma anche: più divento alcol-dipendente e più mi si alzano i livelli di ghrelina. Anche qui un effetto volano biochimicamente supportato. Ma la ghrelina perchè si alza ? Perchè mangiamo poca fibra, poca frutta, e lo stomaco resta vuoto anche assumendo tante calorie. Il legame di un’alimentazione sbilanciata con la predisposizione all’alcolismo non è mai stato così chiaro come ora.
Gli effetti più gravi si hanno tuttavia sul fronte metabolico, dove la ghrelina va a stimolare contemporaneamente sia la Agouti Related Protein (AgRP), che dice all’intero metabolismo di fermarsi e di non consumare, sia il sistema di ricompensa dopaminergico precedentemente citato, come documentato da uno studio svedese del 2011. Quale sia la causa e quale l’effetto non è ancora chiarissimo, ma è certo che tutti questi sistemi si rinforzano l’un l’altro con il risultato finale, sgradito, di farci ingrassare.
Resistina: adipochina ingrassante
Veniamo infine agli effetti su leptina e resistina, forse di più immediata comprensione. Un lavoro del 2009 dell’Università di Bratislava documenta come il consumo cronico di alcol innalzi sia i livelli di leptina che di resistina. Uno dei quesiti che ci si poneva qualche anno fa era come facesse l’alcol a fare ingrassare visto che non scatena immediatamente una risposta insulinica. Ora la risposta c’è: non è la reazione immediata a farci ingrassare, ma la resistenza insulinica che gradualmente s’instaura a causa dell’aumentata secrezione di resistina, adipochina dagli effetti metabolici devastanti, in grado di predisporre al diabete in tempi brevi.
La crescita dei livelli basali di leptina non è un fatto positivo, come potrebbe sembrare, ma negativo, in quanto è sinonimo di “resistenza leptinica”: un fenomeno tipico dell’obeso, che porta ad un graduale rallentamento della funzione tiroidea, delle funzioni sessuali, dell’umore, della capacità muscolare e vitale. Un gruppo di ricerca coreano ha documentato, nel 2011, come l’assunzione regolare di alcol generi diabete mellito proprio attraverso questi due meccanismi: secrezione di resistina a livello degli adipociti e resistenza leptinica a livello dell’ipotalamo.
Arizona e paradossi
Dunque cinque assi ormonali e metabolici coinvolti nella perturbazione dei nostri equilibri regolatori, se facciamo uso di alcol. Perchè l’alcol non è un alimento, ma un derivato che il nostro corpo non conosce e che purtroppo mima l’azione di altre sostanze pericolose. La risposta di buon senso dev’essere quella di un’accettazione individuale delle quantità di alcol quotidiana davvero moderata.
Gli studi più affidabili (come l’Arizona study, svolto su 490.000 individui, e non le sciocchezze giornalistiche tipo il “paradosso di Bordeaux” secondo cui bevendo vino ci si poteva ingozzare di formaggi, ahimè raccolte anche da qualche sprovveduto nutrizionista) parlano di mezzo bicchiere di vino al giorno, due dita per le signore, per essere a rischio zero.
In certe zone italiane l’aperitivo con gli amici, la bottiglia serale divisa con la moglie, il limoncello dopo cena sono la norma. Una norma che poi nel week end spesso tracima in bevuta vera e propria in compagnia. Queste abitudini, alla luce di quanto fin qui visto, non sono accettabili per chi voglia perdere massa grassa secondo una dinamica di segnale.
Dimagrire in modo sano significa sfruttare le nuove conoscenze “di segnale” che attraverso l’ipotalamo regolano le nostre dinamiche di accumulo e di consumo.
Cultura si, senza farsi del male
La valenza culturale del vino in Italia non è in discussione. Ma se vogliamo perdere grasso senza cadere in assurde diete di restrizione, dobbiamo prendere atto della necessità di moderare il nostro consumo di alcol. Perchè se dimagrire, nel nostro linguaggio, significa lasciare agire la leptina, attivare il metabolismo, spegnere insulina, ghrelina e galanina, è chiaro a chiunque abbia avuto la forza di leggere fino a qui che il consumo di alcolici lavora del tutto nella direzione opposta. Non sono le calorie dell’alcol a farci ingrassare, ma la sua capacità di squilibrare i nostri centri ipotalamici di regolazione.
“Il medico pietoso fa la piaga infetta” dice il proverbio. Inutile dire “sì, beva pure..” per ingraziarsi il paziente. Controllare il consumo di alcolici, preservando il piacere di gustarne piccole quantità, dev’essere un obiettivo primario per chi voglia mantenersi magro e in forma. Riuscire a farlo significa portare il bicchiere al nostro servizio, e non noi ad essere suoi schiavi.
Un atleta potrà consumare moderate quantità di alcol senza alcun problema. Chi dovesse indulgere a quantità maggiori dovrà prima o poi fare i conti con le proprie prestazioni.
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