Che la nostra visione della realtà e le nostre aspettative determinino, o quantomeno influenzino, il corso degli eventi è tesi comune a molti ambiti cosiddetti new age, e non solo. Così comune che è difficile non averne almeno sentito parlare, per poi averle dato credito, oppure averla liquidata come stupidaggine. In entrambi i casi spesso a seguito di una reazione a pelle.
Ma cosa può dirci invece a proposito una riflessione più approfondita?
Una prima parziale risposta a sostegno dell’ipotesi ci è offerta dagli studi sull’effetto placebo e sul meno noto ma altrettanto importante effetto nocebo. Lungi dall’essere mera condizione di confronto dell’efficacia di un farmaco, come ai più è purtroppo esclusivamente noto, l’effetto placebo ha recentemente ricevuto adeguato riconoscimento soprattuto ad opera del neurofisiologo Fabrizio Benedetti (2008; 2012), considerato tra i massimi esperti a riguardo.
La nuova prospettiva (per approfondimenti rimando a Tangocci, 2018) riconosce al placebo valenza terapeutica, se consapevolmente sfruttata, e propone di inserire tali conoscenze nella pratica clinica (Benedetti, 2013), anche perché oggi la scienza ci dice che le parole sono delle potenti frecce che colpiscono precisi bersagli nel cervello e il corpo di chi soffre. È questo il concetto chiave che sta emergendo, recenti scoperte lo dimostrano: le parole attivano le stesse vie biochimiche di farmaci come la morfina e l’aspirina, ma visto che nel corso dell’evoluzione sono nate prima le parole e
poi i farmaci, è più corretto dire che i farmaci attivano gli stessi meccanismi delle parole. (Benedetti 2018, p.1).
Sono molti i possibili meccanismi di azione del placebo evidenziati dalla ricerca. Particolarmente promettente appare quello proposto dallo psicologo Robert Ader e collaboratori (2010), ovvero che l’effetto sia mediato da condizionamento. Ader è soprattutto noto per essere il padre della PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia), disciplina che esplora le relazioni esistenti tra psiche, sistema nervoso centrale, sistema endocrino e sistema immunitario.
La disciplina prende le mosse da studi sulla possibilità di condizionare la risposta immunitaria nei ratti (Ader e al, 1975) intrapresi dell’allora giovane ricercatore a seguito dell’inattesa osservazione che alcune cavie, sottoposte a esperimenti di avversione gustativa alla saccarina tramite associazione col Cytoxan (un chemioterapico con effetti immuno-
soppressori), morivano a seguito di ulteriore assunzione della sola saccarina.
Ader ipotizzò che l’effetto immunosoppressivo fosse stato associato alla saccarina tramite condizionamento, un’ipotesi così ardita che – come anni dopo ci racconta lo stesso Ader – è stata possibile solo grazie alla serendipità della scoperta e al fatto che, in quanto psicologo, “[he] did not know there were no connections [allora note] between the brain and the immune system”, ed era pertanto: “free to consider any possibility” (p.168). Essere liberi di considerare ogni possibilità è sovente condizione imprescindibile a nuove conoscenze.
Altra circostanza nella quale è possibile che le proprie aspettative influenzino il corso degli eventi è conosciuta come Profezia Autoavverante (Merton, 1948).
Classico esempio sono i correntisti di una banca, di per sé solida, che intimoriti dall’eventualità che possa fallire ritirano in massa i loro depositi, determinandone in tal modo il fallimento. Ma anche il pregiudizio verso una persona appartenente ad un determinato gruppo sociale ritenuto scontroso che porta a essere palesemente prevenuti e in tal modo provoca esattamente il comportamento previsto.
Fin qui scopriamo che gli atteggiamenti possono influenzare il corso degli eventi.
Altrettanto evidenti sono tuttavia anche i limiti del cosiddetto “pensiero positivo” che può, sì, predisporre al meglio per una circostanza, ma è esperienza comune che, per quanto si possa crederci, difficilmente si riuscirebbe da principianti a vincere una competizione con un campione di una qualche disciplina agonistica, a meno di un vero e proprio miracolo. Altrettanto difficilmente il semplice crederci consentirebbe di superare limiti intrinseci alla fisiologia umana. O forse no? Nel mondo dello sport sono storici i superamenti di limiti prima ritenuti invalicabili, come quello dei dieci secondi per correre i cento metri piani, ufficialmente superato per la prima volta nel 1968 da Jim Hines, e a stretto giro da altri velocisti, come se davvero esistessero i campi morfici ipotizzati dal biologo Rupert Sheldrake (1981).
Sia come sia, l’esistenza di un qualche inconscio socio-culturale (Tangocci, 2019) che influenzi il campo delle possibilità appare una possibile spiegazione per eventi decisamente insoliti come quelli descritti dal medico Walter Bradford Cannon, l’autorevole scopritore anche della cosiddetta “Fight-or-Flight Response”. Cannon (1942) studia numerose osservazioni effettuate da vari antropologi che rilevano l’alta frequenza con cui, tra i nativi sudamericani, africani, e gli aborigeni australiani, gli indigeni additati dallo stregone della tribù – gesto equiparato in tali culture ad una condanna a morte – effettivamente muoiono nei giorni successivi, e chiama il fenomeno Voodoo death.
Col ripetersi di tali osservazioni antropologiche le morti sono difficilmente considerabili casuali e, a meno di accettare spiegazioni soprannaturali, la loro causa più plausibile sembra dovuta a suggestione, al grande spavento provato e al conseguente effetto nocebo. Tuttavia le osservazioni riportano anche che, con altrettanto stupore degli studiosi che osservano le morti dei membri della tribù additati dallo stregone, quest’ultimo constata l’inefficacia dei suoi poteri sugli stranieri, i quali, nonostante siano presumibilmente spaventati da quanto hanno visto, appartengono ad una cultura che non ritiene possibili tali eventi. L’indigeno e l’antropologo occidentale, se entrambi additati da uno stregone, non hanno solo distinte credenze consce sul fenomeno, ma anche diverse credenze inconsce, più profondamente radicate, e pertanto refrattarie, nel caso dell’indigeno, a tentativi di convincimento che l’atto è innocuo e, nel caso dello studioso, allo spavento provato dall’avere precedentemente assistito alla morte di individui anche essi additati. In altre parole, l’effetto placebo o nocebo non sarebbe determinato unicamente dalle proprie aspettative consce ma anche, e forse soprattutto, dalle aspettative della società di appartenenza.
Ferma restando la natura ipotetica di tale spiegazione, la nostra cultura appare fortunatamente protettiva nei confronti di simili pratiche. Al contempo tuttavia la tesi stimola la domanda se, viceversa, i pregiudizi culturalmente condivisi in Occidente possano in altri contesti inconsciamente attivare un effetto nocebo e in tal modo essere iatrogeni. La domanda naturalmente non è che uno stimolo di riflessione, anche perché non sarebbe metodologicamente possibile isolare in un esperimento la variabile culturale inconscia oramai (quasi) globalmente egemone.
In conclusione, le cose non sono presumibilmente così semplici come ipotizzato dalla teoria in apertura, nondimeno sia le aspettative personali che quella della cultura di appartenenza potrebbero non essere ininfluenti. Nel dubbio, meglio coltivare l’ottimismo, potrebbe non funzionare ma quantomeno crederci ci farà stare meglio che non crederci.
Ops, ma in tal caso significherebbe che funziona…
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Bibliografia
Ader, R., & Cohen, N. (1975). Behaviorally conditioned immunosuppression. Psychosomatic Medicine, 37(4), 333-340.
Ader, R., Mercurio, M. G., Walton, J., James, D., Davis, M., Ojha, V., Kimball, A. B., Fiorentino, D. (2010). Conditioned Pharmacotherapeutic Effects: A Preliminary Study. Psychosomatic Medicine, 72(2), 192–197.
Ader, R. (2000). On the development of psychoneuroimmunology. European Journal of Pharmacology, 405(1–3), 167–176.
Benedetti, F. (2008). Mechanisms of placebo and placebo-related effects across diseases and treatments. Annual Review of Pharmacology and Toxicology, 48, 33–60.
Benedetti, F. (2012). L’effetto placebo. Breve viaggio tra mente e corpo. Roma: Carocci.
Benedetti, F. (2013). Placebo and the New Physiology of the Doctor-Patient Relationship.
Physiological Reviews, 93(3), 1207–1246.
Benedetti, F. (2018). La speranza è un farmaco. Come le parole possono vincere la malattia. Milano:
Mondadori.
Cannon, W. B. (1942). “Voodoo” Death. American Anthropologist, 44(2), 169-181.
Merton, R. (1948).The Self-Fulfilling Prophecy. The Antioch Review, Vol. 8, No. 2, pp. 193-210.
Sheldrake, R. (1981) A New Science of Life: The Hypothesis of Morphic Resonance. Los Angeles: J.P. Tarcher.
Tangocci, B. (2018). Il potere delle aspettative: effetto Placebo, effetto Nocebo. Il Minotauro, Anno XLV n°2, 29-48. Bologna: Persiani Editore.
Tangocci, B. (2019). Inconsci e coscienza: un confronto tra distinte prospettive psicologiche. Il Minotauro, Anno XLVi n°1, 07-23. Bologna: Persiani Editore.