Chi pensa di dimagrire affidandosi alle promesse dei cibi light dovrebbe riflettere su qualche punto che rischia di pesare in maniera determinante sull’andamento del peso, a dispetto di un’assunzione di cibi a calorie quasi nulle.
L’intestino intelligente
Il primo elemento da considerare riguarda uno dei messaggi che le sostanze zuccherine passano alle cellule del tratto intestinale: lungi dall’essere un canale cieco e sordo, il nostro intestino è dotato di recettori in grado di percepire la presenza di dolcificanti all’interno del cibo ingerito. Riconoscere la presenza di zuccheri è un’informazione preziosa, subito utilizzata per varie funzioni, dallo stimolo alla secrezione di insulina al propagarsi del senso di sazietà per moderare l’immissione di altro cibo.
Zuccheri antichi e diavolerie moderne
Ma cosa succede se gli zuccheri ingeriti sono di tipo artificiale, come aspartame, saccarina o clicammati? L’evoluzione ha imparato nel tempo a riconoscere il dolce derivato dallo zucchero di canna, dalla barbabietola, dal miele o dal fruttosio. Ma l’avvento sul mercato dei dolcificanti artificiali coglie del tutto impreparato il nostro pur “intelligente” intestino, che non li riconosce e quindi non ne segnala la presenza. La conseguenza è che i messaggi di cui sopra (stimolo insulinico e stop alla ricerca di cibo) non vengono lanciati. In particolar modo viene alterata la normale sensazione di sazietà in risposta all’assunzione di cibo.
Ce lo dice Mickey Mouse
I ricercatori Susan Swithers e Terry Davidson delle Purdue University hanno condotto a tale proposito uno studio illuminante dal titolo “Artificial sweeteners linked to weight gain” del Febbraio 2008. Dopo aver diviso dei ratti in due gruppi si è differenziata la loro alimentazione, nutrendo il primo gruppo con yogurt zuccherato e l’altro con yogurt dolcificato alla saccarina. Dopo due settimane, a tutti i topi è stata fornita cioccolata in grande quantità e sono stati lasciati liberi di cibarsene a sazietà. Il comportamento a questo punto è stato identico nei due gruppi sotto osservazione. Ma al pasto successivo i topi alimentati con lo zucchero hanno mangiato in maniera normale, mentre il gruppo alimentato a saccarina ha continuato ad abbuffarsi senza limitazione. La loro capacità di valutare l’assunzione di cibo era quindi profondamente alterata dalla continua assunzione del dolcificante artificiale: un “falso segnale” protratto nel tempo aveva confuso il cervello, indebolendo il legame diretto tra dolcezza e sazietà e rendendoli quindi affamati a tempo pieno.
Per l’Uomo è lo stesso
Questa ricerca compulsiva di zuccheri innescata dall’assunzione di dolcificanti artificiali è stata riconosciuta anche sull’Essere Umano: la professoressa Lyn Steffen epidemiologa dell’Università del Minnesota ha condotto nel Gennaio 2008uno studio su 9500 tra uomini e donne, rilevando un rischio di sindrome metabolica (pre-diabete) superiore del 34% in chi beveva almeno una bibita “light” rispetto a chi non ne beveva. Altri studi condotti dalla Texas University hanno correlato l’assunzione quotidiana di una bibita light con un aumento del 41% del rischio obesità ed addirittura del 65% del rischio sovrappeso.
Insomma, pensando di limare qualche caloria ci troviamo a falsare i messaggi al nostro organismo: ancora una volta la lettura calorico-centrica si rivela perdente, mentre occorre lasciare intatti i segnali autentici che il nostro corpo sa come utilizzare con consapevolezza. Molte aree del nostro corpo sono intelligenti, riconoscono messaggi, li decodificano, li propagano secondo procedure collaudate e tese alla migliore risposta possibile. Sarebbe ora di smettere di considerare il cervello confinato nella sola scatola cranica, imparando a rispettare i ritmi ed i linguaggi che la natura ha affinato per noi nel corso della nostra evoluzione.
Il dolce della frutta, quello del miele, quello di tuberi, barbabietole e bacche è ciò che il corpo riconosce e sa gestire. Il resto è junk food.