Login/account

Il lato oscuro della medicina

Condividi

di Luca Speciani

Articolo tratto dal numero 127 de L’altra medicina. 

Come è stato possibile che in solo pochi decenni la fiducia media delle persone verso i medici e la medicina sia calata a livelli bassissimi?

Tante situazioni hanno contribuito al danno: i protocolli sempre più vincolanti che hanno tolto libertà decisionale; i valori degli esami sempre più ristretti per poterci definire tutti malati; la medicina difensiva; l’ingerenza sempre più invadente delle aziende farmaceutiche sulla ricerca e sulle prescrizioni; l’iperspecializzazione dei laureati e chi più ne ha più ne metta. Ma il colpo di grazia è arrivato dalla recente pandemia, in cui tanti, troppi medici hanno passivamente accettato di diventare meri esecutori di istruzioni provenienti da istituzioni al soldo dell’industria. Capire l’entità del problema può già essere un primo passo verso la sua soluzione.

Il sistema sanitario nazionale

Oggi il paziente si trova ad essere palleggiato tra un medico di base che spesso – per quanto esperto e preparato – ha da dedicare in media tre minuti a ciascuno, e uno specialista – talvolta indicato dallo stesso medico di base per un approfondimento – che si occuperà di un solo pezzo del corpo del paziente malato, spesso ignorando altre aree ed altri sintomi, di evidente competenza di altri specialisti, in totale assenza di un “coordinatore” centrale in grado di orientare il paziente verso le cure complessivamente e individualmente più idonee alla sua situazione. Questa figura di coordinamento, che in teoria dovrebbe essere coperta dal medico di base, in verità – fatta salva qualche singola virtuosa realtà – oggi non esiste. Come potrebbe il povero medico di base, oberato da 1500 pazienti e da una miriade di spesso inutili oneri amministrativi, dedicare a ciascun paziente il tempo necessario a vedere chiaro all’interno di situazioni a volte anche molto complesse? Molto più semplice e meno impegnativo prescrivere un farmaco in pochi secondi augurandosi che risolva, come per magia, il mal di testa, il dolore articolare, la rinite allergica, il temporaneo rialzo pressorio. 

Ricordo durante il mio tirocinio post laurea di aver affiancato per un mese un bravissimo e disponibilissimo medico di base, in un comune della Brianza. Una mattina per scrupolo decisi di contare il numero di visite. Dalle 7.30 del mattino alle 12.30 visitammo (se così si può dire) la bellezza di 67 pazienti. 

Il mio collega si prodigava generosamente ad ascoltare tutti, aiutato da un efficiente software che gli ricordava i farmaci in uso a ciascuno. Ma il tempo era tiranno e tra un certificato, un cappotto da togliere, due parole di minima cortesia. Il tempo per la visita era virtualmente assente. Chiedere ad una tale figura di assumersi il coordinamento delle cure è davvero improponibile.

E che dire di un sistema in cui se chiedi una TAC o una risonanza ti fissano l’appuntamento ad un anno dopo quando, se sussiste il problema oncologico per il quale l’esame è richiesto, probabilmente sarai già morto?

Medicina difensiva

Ho imparato da mio padre ad assumermi la responsabilità del paziente che ho davanti. Ma in una mattina posso vistare al massimo tre-quattro pazienti.

Posso farlo perché visito privatamente nel mio studio e scelgo io tempi e tariffe. Ma molti pazienti sono felici di trovare una figura competente che si ponga come interfaccia evoluta tra i vari specialisti che stanno seguendo il loro caso. Non trovano facilmente figure che vogliano assumersi questa responsabilità. Io lo faccio. Oggi invece succede che il cardiologo, come da protocollo, prescriva un antipertensivo, l’urologo un alfa1 inibitore per la prostata (che è anche antipertensivo e rischia di mandare il paziente in ipotensione) ed entrambi si offendano se uno cerca di ridurre o deprescrivere il farmaco prescritto dall’altro. Analoghe confusioni si hanno tra chi prescrive statine (prodiabetiche e algogene) e il diabetologo o l’ortopedico, tra gastroenterologo e prescrittore di FANS (che generano gastriti e ulcere) o di “gastroprotettori” (che alterano il processo digestivo) e così via, con tutte le possibili varianti e mescolanze.

Il problema nasce, e si aggrava poi in modo rilevante, quando ci rendiamo conto del fatto che una parte dei comportamenti del medico sono rivolti alla cosiddetta “medicina difensiva”, ovvero quell’insieme di comportamenti volti ad evitare grane o problemi legali con i pazienti. Uno stuolo di avvocati, infatti, staziona fuori dagli ospedali in attesa di accanirsi su eventuali presunti errori medici, talvolta con modalità contrattuali inaccettabili (scritte o verbali) volte a condividere tra cliente e avvocato l’eventuale utile derivante dal pagamento del medico o della sua assicurazione. Tale situazione ha portato recentemente a svuotare di medici i reparti di chirurgia generale e di ostetricia, tradizionalmente i più a rischio da un punto di vista legale. Oggi un onesto chirurgo, che svolga 500 operazioni all’anno, si trova mediamente 10-15 cause da gestire in contemporanea, con una ricaduta grave sull’operatività quotidiana. Chi effettuerà infatti quella difficile operazione su quel ragazzino a rischio? Nessuno. 

Protocolli da seguire

Il medico internista ha trovato invece una soluzione apparentemente semplice al problema delle cause legali. Prescrive con grande precisione tutti i farmaci previsti dalle linee guida ufficiali, così da essere inattaccabile di fronte ad eventuali rimostranze del paziente o dei suoi eredi (legge Gelli). Tutto questo naturalmente trova il plauso dell’industria farmaceutica, dei super pagati relatori ai convegni di “Big pharma” e di tutti i media ad essa asserviti per via pubblicitaria. Ma il discorso non regge ad un’analisi più approfondita. Di chi è infatti la responsabilità nel momento in cui due prescrizioni di due specialisti, pur entrambe corrette secondo linee guida, siano in conflitto tra loro? Il secondo prescrittore può considerarsi indenne da responsabilità se ha seguito le linee guida previste per quella patologia, ma non ha tenuto in considerazione le specificità del paziente che aveva davanti e le eventuali interazioni tra i farmaci che già aveva in uso? No sicuramente. Una recente sentenza della corte di cassazione ha chiarito con molta precisione questo punto, osservando che: “È riservata al medico la scelta terapeutica nel singolo caso e l’adeguamento dei protocolli alle condizioni del singolo paziente e questo concetto non può essere compresso a nessun livello, pena la degradazione del medico a semplice burocrate”. Il medico ha infine “dovere di dissenso” nei confronti di ordini e direttive provenienti da colleghi gerarchicamente sovraordinati, ove queste vadano in contrasto con le ultime indicazioni scientifiche emerse dall’arte. 

Il fatto che vi sia un così forte contenzioso legale in ambito medico, porta ogni operatore a proteggersi quanto più possibile. Il medico con la medicina difensiva, l’industria farmaceutica con il cosiddetto “bugiardino” allegato ai farmaci. Uno strumento appositamente costruito per esentare da ogni colpa il produttore.

Un bugiardino da leggere insieme

Quando acquistiamo un farmaco troviamo sempre al suo interno un foglietto che ne illustra le caratteristiche e le modalità d’uso, convenzionalmente chiamato “bugiardino”. Il nome non è casuale. Le informazioni che riporta sono infatti – benchè legalmente corrette – ciò che di più confondente vi possa essere per un potenziale utilizzatore del farmaco stesso. L’elenco puntiglioso e dettagliato di tutti i rischi connessi con l’uso di quel farmaco è talmente complicato e ricco di termini complessi da fare sì che l’utilizzatore si liberi del foglietto con un cenno di disappunto, pensando: “se tutti questi rischi fossero reali, nessuno assumerebbe più nessun farmaco”.

Il problema è che quei rischi sono assolutamente reali. E sono lì descritti per un motivo molto preciso: togliere responsabilità alla casa farmaceutica che lo produce.

Se la casa farmaceutica non è responsabile degli eventuali danni provocati dal farmaco, chi ne è responsabile? 

Dove un uso “appropriato” del farmaco procuri danno, l’azienda non è minimamente responsabile: c’era scritto a corpo zero sul bugiardino!

Eppure una stima pubblicata sul JAMA ancora nel 1998 (Lazarou J. et al. – Incidence of adverse drug reactions In hospitalized patients: a meta-analysis of prospective studies – JAMA 279-1998)

rivela che il numero di morti annuali per effetti collaterali da farmaci (limitandosi alle morti dirette, ed escludendo dunque quelle provocate – per esempio – da incidenti stradali sotto l’effetto di antistaminici, antidepressivi, antipertensivi) è diventata la quarta causa di morte, dopo infarto del miocardio, cancro e ictus.

La pratica di consentire tutto, purchè sia ben descritta la pericolosità del farmaco sul foglietto illustrativo (molto discutibile ma dotata di una propria logica), sposta sul medico la responsabilità della scelta. Poiché infatti il bugiardino mette in guardia verso i possibili effetti collaterali di questi farmaci, l’azienda non ha più responsabilità. Nemmeno quando legioni di suoi informatori invadono ogni studio medico con colorati depliant che raccontano quanto siano efficaci e quanto riescano a rimuovere ogni sintomo, con rischi limitatissimi. Nemmeno quando relatori di prestigio ben retribuiti vanno a raccontare le stesse cose in lussuosi convegni in amene località di mare.

Il medico non si rende conto del fatto che, nell’assimilare informazioni “guidate” da chi ha interesse a vendere più farmaci e nell’applicarle poi, consciamente o meno, sui propri pazienti, resta l’unico (nel caso di farmaco prescritto) ad assumersi la responsabilità dell’eventuale danno o morte precoce. Il paziente infatti riceve prescrizione scritta da una figura istituzionale (il medico) autorizzata a prescrivere. L’azienda si para le spalle con il bugiardino. E il cerino resta in mano al professionista.

C’è chi pensa, erroneamente, che più farmaci si assumono e “più si è fatto” per la patologia in essere. Molte volte, invece, è vero l’esatto contrario. Lasciare al corpo il tempo di organizzare le difese è spesso la via migliore e più prudente per affrontare una realtà complessa e non lineare come quella dell’essere umano. Movimento e alimentazione sana, insieme ad un corretto approccio mentale ai problemi, rappresentano spesso una splendida via di guarigione. Ma non possiamo sperare che il marketing delle potenti aziende farmaceutiche venga a raccontarcelo.

Noi medici abbiamo una grande responsabilità nella trasmissione di corrette informazioni ai nostri pazienti. Leggere insieme qualche volta quel “bugiardo bugiardino” può essere un salutare esercizio per stare in guardia verso gli abusi, da qualunque parte provengano

La responsabilità non cessa

Ogni caso clinico è dunque a sé stante, e il medico è la figura istituzionalmente preposta a vigilare sul fatto che vi sia coerenza tra le indicazioni che il paziente deve mettere in atto dopo la visita e quelle precedentemente ricevute. Qualora il medico ravveda conflitto è suo preciso dovere intervenire in senso correttivo, ponendosi al di sopra di qualunque “linea guida” nell’interesse del paziente.

La creazione di nuove linee guida o di nuovi intervalli di “normalità” per gli esami del sangue non sempre è un atto libero da vincoli e influenze esterne. Quando al tavolo da gioco sono sedute le aziende alimentari e farmaceutiche, che dominano il mercato, i media, la ricerca “scientifica” e talvolta anche governi e ministeri, non sempre il gioco è del tutto libero da influenze commerciali. Nel momento in cui un restringimento dell’intervallo di “normalità” dei valori ematici di colesterolo genera un milione di “malati” bisognosi di cure in più, è evidente che chi deve effettuare tale scelta sia sottoposto a pressioni (economiche, di carriera, di prestigio) che talvolta sfuggono al controllo e possono creare imbarazzo a medici onesti, preparati e documentati, che non si riconoscono per nulla nelle nuove regole. 

Una medicina centrata sul paziente non può essere basata su rigide linee guida, su eccessi di esami e strumenti diagnostici né su comportamenti di medicina difensiva. Il valore di un medico si misura anche attraverso la sua autonomia decisionale e il futuro della medicina passa anche dallo sviluppo di queste capacità, e dall’insegnamento delle stesse nel curriculum scolastico ufficiale di formazione, oggi – per motivi economici molto evidenti – completamente assente. Il medico trasformato in mero esecutore di direttive esterne perde invece la sua dignità e la sua autonomia e diventa inconsapevole mattone di base di una medicina oscura, disumanizzata e sempre meno in grado di rispondere ai bisogni reali del paziente: essere ascoltato, compreso, curato rimuovendo le vere cause del suo malessere.

Sovradiagnosi

Tra i lati oscuri della medicina vi è poi quello della cosiddetta “sovradiagnosi”. Supponiamo che per una patologia (ad esempio il cancro al seno o alla prostata) esista un esame di routine (ad esempio una biopsia a 12 aghi) in grado di diagnosticare il tumore. E supponiamo che tale esame generi 100 diagnosi positive, con una mortalità di 10 casi (10%). Se in un certo anno viene introdotto un test più preciso (ad esempio una biopsia a 24 aghi), il numero delle diagnosi probabilmente raddoppierà, evidenziando però i casi meno gravi, quelli che difficilmente avrebbero portato al decesso.

Il nuovo quadro diventa pertanto di 200 diagnosi (alle 100 “vere” se ne sono aggiunte altre 100 leggere), con tuttavia una mortalità invariata, che riguarda gli stessi dieci casi del periodo precedente (a 12 aghi).

Cosa è cambiato? Tutto.

I tre attori della recita (medici, pazienti, industria) hanno infatti motivi diversi per essere felici. I medici perché hanno ridotto la mortalità dal 10 al 5% (perché ora i 10 casi di decesso sono su 200 diagnosi) e possono andarne fieri in relazioni e congresso. I pazienti perché 100 in più possono dire di avere avuto salva la vita, e – pensa un po’ – nemmeno si erano accorti di essere malati. L’industria, perché ha visto raddoppiato il numero di “malati” a cui vendere i propri farmaci. E chi siamo noi per criticare questo teatrino che ci rende tutti felici? A quando il passaggio alla biopsia a 48 aghi che genererà 400 diagnosi di tumore, mantenendo sempre i soliti 10 decessi?

Con la pandemia il sistema ha toccato il fondo. Le diagnosi venivano gestite attraverso l’inaffidabile sistema dei tamponi, generando allarme o rassicurazione a seconda della necessità governativa di spaventare o di tranquillizzare. Tutti malati, tutti contenti, tutti pronti a correre a vaccinarsi, firmando il consenso informato (assumendosi quindi la responsabilità di ogni effetto collaterale) per poter tornare a lavorare o a cenare fuori con gli amici.

Altro che lato oscuro: qui siamo direttamente all’inferno.

Pazienti sempre più “numeri”

La profonda e sempre più visibile insoddisfazione dei pazienti nei confronti di una medicina che li cataloga come numeri, o se va bene come malattie, sfocia poi spesso nella spasmodica ricerca di soluzioni alternative, con l’appoggio di professionisti non sempre dotati di adeguata preparazione medica. 

Ciò che oggi è richiesto dal paziente è un cambio di paradigma, che rivolga l’attenzione alle cause invece che ai sintomi.

Il medico preparato e completo deve potersi muovere in piena autonomia, rivolgendosi alla rimozione delle cause delle patologie (invece che alla sola soppressione dei sintomi) e facendo il minor uso possibile di farmaci, ma sempre appoggiando le sue scelte su solide basi scientifiche e su una visione dell’organismo che rispetti le sue risposte endocrine centrali. 

Come già scriveva mio padre Luigi Oreste più di 40 anni fa nel suo splendido “L’uomo senza futuro” (che abbiamo pubblicato a puntate su questa rivista per tanti mesi) dimostrando una grande visione prospettica, l’alternativa per sopravvivere ad una crisi della medicina, che lui vedeva imminente, era nella riumanizzazione della medicina stessa. Oggi si può dire che le sue pessimistiche ipotesi (che si sarebbero realizzate a meno che qualcuno avesse ascoltato le sue illuminate considerazioni) non solo siano giunte a pieno compimento, ma abbiano in alcuni casi addirittura superato le previsioni.

Conoscere i lati oscuri della disumanizzata medicina di oggi è un primo passo indispensabile per imparare a difendersene.

Altri articoli