Molti alimenti nascondono “tra le righe” componenti o processi che li rendono potenzialmente dannosi. È il “lato oscuro” degli alimenti. Impariamo a conoscerne alcuni. E a fare delle preparazioni buonissime senza cibi industriali o a rischio di alterazione.
Vino
Un buon bicchiere di prosecco può deliziare il palato più fine nel giusto contesto. Sull’etichetta troveremo magari un produttore di prestigio e un vitigno particolare, ma vi sono dei trattamenti consentiti dalla legge italiana che possono non comparire in etichetta, come per esempio i solfiti utilizzati per far precipitare il torbido. Il lato oscuro, insomma, non solo del vino ma di molti prodotti industriali di derivazione agricola i cui additivi, se usati per dare consistenza, per rimuovere residui o per aggiungere/togliere acqua possono non essere dichiarati in etichetta, togliendo al consumatore – magari allergico ai solfiti – una preziosa informazione.
Olio
Il problema non riguarda solo i vini. La legislazione sull’olio, per esempio, è quanto di più complicato ci possa essere, e pare fatta ad arte per generare confusione nell’acquirente. Chi acquista l’olio extravergine d’oliva (in parole semplici quello di prima spremitura) pensa forse di aver scelto un prodotto di altissima qualità, e che tutto sommato può risparmiare prendendo quello con la semplice dicitura “olio di oliva”. Ma la legge italiana sull’olio di oliva lo definisce come olio ottenuto dal taglio di oli d’oliva vergini con oli d’oliva raffinati. Nulla di particolarmente buono e sano, dunque. Eppure il tonno “in olio d’oliva” viene venduto come una delizia. E il lato oscuro si allarga.
Miele
Vogliamo parlare di miele? Quanti prodotti che usurpano il nome di miele vengono poi annacquati prima di essere messi in commercio? Christophe Brousset nel suo bellissimo “Siete pazzi a mangiarlo” racconta la storia del miele cinese. Dapprima annacquato, poi – poiché il miele annacquato ammuffiva – additivato di antimuffa o di antibiotici. Gli organismi di controllo avevano però notato che il miele cinese era basso in glucosio (ovvio: era annacquato!). Così i cinesi hanno pensato bene di aggiungerlo per riportare i conti in pari. Così facendo, però, hanno squilibrato il rapporto glucosio/fruttosio. I cinesi hanno allora aggiunto glucosio e fruttosio nel giusto rapporto, ma ancora non andava bene. Servivano infatti i granuli pollinici, per dare credibilità al mistone. E siccome si possono comprare separatamente: voila!
Ecco dunque che un pastone fatto di acqua, addensante, antibiotico e antimuffa, glucosio, fruttosio e granuli pollinici, possa sfuggire ai controlli di importazione ed essere venduto, a pochi euro al quintale, con la dicitura “miele extra UE”, adatto a riempire brioche o a dolcificare la qualunque. Un lato parecchio oscuro di provenienza orientale.
Formaggi
E i formaggi di tradizione italiana? Anche qui esiste un lato “scurissimo”. Molti infatti pensano che siano più sani i formaggi freschi rispetto a quelli stagionati o quelli magri rispetto a quelli grassi. Nulla di più sbagliato. Ciò che fa la differenza è la provenienza della materia prima, che idealmente dovrebbe essere del buon latte di animali nutriti ad erba. Vanno invece per la maggiore (e sono poi ovviamente pubblicizzati senza risparmio) i cosiddetti formaggi “ricostruiti” come certi formaggi fusi a fette o certe specialità spalmabili. In pratica per produrre alcuni di questi “formaggi” (mi siano consentire le virgolette) viene utilizzata della materia prima di scarto (formaggi scaduti, partite andate a male o mal coagulate, scarti di lavorazione del caseificio) che viene poi allungata con tanta acqua (costo zero), con addensanti per dare un minimo di solidità all’insieme, sale e sali di fusione (dannosi per le nostre ossa), aromi (l’acqua non sa di niente), sbiancanti (il formaggio vecchio è scuro) e conservanti (l’acqua favorisce l’alterazione). In etichetta questi prodotti, spesso bianchissimi e meravigliosamente spalmabili, con eleganti mucche al pascolo sulla confezione, riportano i componenti, senza tuttavia spiegare le reali modalità di produzione, cioè il vero lato oscuro dei finti formaggi. Un formaggio sano deve avere tre ingredienti: latte, caglio, sale. E al più dei fermenti specifici. Se di provenienza ovina o caprina ancora meglio (sono allevamenti meno industrializzati). Se bovina, pretendiamo che il latte provenga da animali “grass fed”, ovvero nutriti ad erba. Il solo e unico cibo idoneo per un ruminante.
Cioccolato
Dulcis in fundo occupiamoci di cioccolato. Bianco, stavolta, in onore del lato oscuro. Non tutti sanno che un cioccolato fondente deve per legge contenere almeno il 35% di pasta di cacao. Il resto (di solito zucchero) è a libera interpretazione. Poiché il costo dello zucchero e del cacao è molto diverso, possiamo con facilità indovinare quale percentuale di cacao usino i produttori per fare un fondente. Non ha alcun senso dunque, come fanno alcuni, dire: “Ah, io consumo solo fondente”. Si sta consumando, sostanzialmente, zucchero colorato.
Ottima scelta invece orientarsi su cioccolati che dichiarino la percentuale di pasta di cacao. Se si sceglie una percentuale superiore all’85% la quantità di zucchero assunta con qualche cubetto sarà irrisoria.
Ancora peggiore di quella sul fondente, tuttavia, la legislazione sul cioccolato “bianco”. Che può contenere un minimo di 20% di burro di cacao (il lucidalabbra, insomma), e il resto a libera interpretazione: di solito un mix di zucchero e latte in polvere. I bambini golosi di cioccolato bianco, dunque, si preparino a qualche seduta con il dentista.