Ricevo dall’amico Pier una segnalazione relativa ad un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica” del 28 Ottobre 2011 che parla di leptina, obesità e dimagrimento. L’articolo in questione è stato scritto per il New York Times da Gina Kolata, una giornalista scientifica americana molto conosciuta (ma non medico), di cui ho letto con interesse un paio d’anni fa “Rethinking thin”, un volume sull’obesità che insieme ad alcune interessanti considerazioni, sosteneva che, in fondo, se il nostro destino era quello di essere grassi, dovevamo serenamente accettarlo.
L’articolo in oggetto parte da una recentissima ricerca, pubblicata sul New England Journal of Medicine poche settimane prima (Sumithran, Proietto et al.), che ha analizzato la situazione ormonale di un certo numero di pazienti obesi sottoposti a una dieta, per capire cosa variasse nel quadro generale prima, durante e dopo. I pazienti pesavano in media 94 kg e sono stati sottoposti per 10 settimane ad una dieta da 500-550 kcal. L’obiettivo era quello di far scendere il peso del 10%. Obiettivo raggiunto: in media i pazienti hanno perso il 14% del peso.
I loro ormoni della sazietà però hanno subito una forte variazione (sono stati indagati leptina, ghrelina e PYY, da noi ben conosciuti e più volte citati, visto che dieta GIFT nasce dalla conoscenza della loro azione combinata a livello ipotalamico). Naturalmente la variazione li ha alterati nella direzione di una maggior fame (leptina e PYY giù, ghrelina su). Ma ciò che più ha sconcertato i ricercatori è stato che tali livelli (e con loro la fame da lupi) restavano alterati a lungo anche dopo la conclusione della dieta, con il risultato che il peso perso era stato poi recuperato rapidamente da quasi tutti i pazienti. Guarda un po’.
Il meccanismo è a noi da tempo perfettamente noto. Non è un caso il fatto che DietaGIFT conduca una lotta assidua contro l’abbaglio (ahimè, perdurante da quasi un secolo) del calcolo analitico delle calorie. Gli studi degli ultimi 15 anni sulla leptina, l’adiponectina, la ghrelina, il NPY, l’AgRP e gli altri ormoni ad azione ipotalamica ci raccontano una verità molto diversa da quella a cui tutti sembrano continuare a dar credito con grande miopia. Ingrassamento e dimagrimento (così come muscolazione e ritenzione idrica) non dipendono dalla quantità di calorie, di proteine o di acqua che assumiamo, ma dalla risposta ipotalamica ai segnali che dall’ambiente esterno (cibo, movimento, luce, temperatura) ed interno (patologie, deficit minerali, sonno, umore) giungono al nostro cervello e ai suoi più antichi centri di regolazione situati nell’ipotalamo.
Il segnale di ingrassamento più potente nasce dunque proprio dalla carestia, e a tale segnale abbiamo imparato a rispondere in 800.000 anni di evoluzione recente e, sotto altre forme, nei milioni di anni precedenti. Se c’è carestia, non solo gli ormoni che influenzano il consumo calorico devono essere regolati sul “minimo”, ma contemporaneamente il nostro metabolismo si abbassa (tiroide), i muscoli si atrofizzano, ovaie e testicoli rallentano le loro funzioni (amenorrea), l’umore diventa tetro (surrene). Tutto questo avviene, ed è pienamente documentato che avvenga, se facciamo uso di una dieta ipocalorica. Che provoca tuttavia un calo di peso dovuto da una parte alla riduzione della massa muscolare (perfettamente leggibile con un semplice strumento bioimpedenziometrico come quelli che usiamo in studio), dall’altro alla carenza di “mattoncini” che impedisce al corpo di ricostruire il turn over naturale di grassi, zuccheri e proteine. Come ben sappiamo, ad una dieta ipocalorica seguono frequenti attacchi di fame, quando non vere e proprie crisi bulimiche, che guarda caso spariscono non appena si ritorni alla normocaloricità.
Siamo tuttavia così sciocchi e miopi da continuare ad illuderci (da più di 50 anni) sul fatto che quel calo di peso indoto dalla restrizione calorica sia effettivo, quando non lo è per niente. Se il nostro corpo aveva una situazione di equilibrio di segnali interni ed esterni che lo portava ad un certo peso, se noi quel peso lo modifichiamo solo limitando le calorie, ben presto sarà del tutto ripreso, come peraltro sa perfettamente ogni persona che si sia sottoposta a diete di restrizione calorica.
La risposta GIFT al problema è maturalmente in una dieta assolutamente normocalorica (senza quindi alcun deficit nutrizionale) in cui tuttavia i segnali ipotalamici siano stati modificati nell’ottica di ricostruire un nuovo equilibrio, su un livello di peso (ma, diciamo meglio, di massa grassa, massa muscolare e ritenzione idrica) più salutare rispetto al precedente.
I segnali di cui fa uso la dietaGIFT risiedono soprattutto nella qualità dei cibi, che devono essere il più possibile corrispondenti a quelli di cui l’uomo ha fatto uso nel corso della sua evoluzione (carne, pesce, uova, frutta e verdura, semi oleosi, cereali integrali, legumi), ma anche in un adeguato stimolo tiroideo che nasce dal movimento fisico, dall’esposizione solare, dal sonno regolare, da una colazione molto ma molto ricca, dall’abbinamento tra cibi, dal consumo di fibra, dalla lunga masticazione ecc. Se lavoriamo su questi segnali, che rendono la nostra fame affidabile e le nostre risposte organiche efficienti, possiamo permetterci una piena normocaloricità. Se invece ci riempiamo di zucchero, di edulcoranti artificiali, di sale, di margarine, di farine raffinate, di grassi scadenti, di cibi conservati o industriali possiamo stare certi del fatto che il “mangiare libero” ci porterà presto ad ingrassare, come di fatto avviene.
I ricercatori del NEJM, dunque, scoprono che dopo una dieta ipocalorica (e che dieta! Un uomo di 94 kg avrà bisogno come minimo di 2500 calorie/giorno) da 500-550 kcal, gli ormoni di regolazione ipotalamica che dovrebbero prevenire l’ingrassamento non solo si sono fortemente alterati, ma quel che è peggio, rimangono alterati anche dopo che la dieta è finita. Il che significa una pressione incontrollabile verso l’iperfagia con rapido recupero di tutto il peso perso. La scoperta dell’acqua calda, dal punto di vista dei comportamenti. Ma una scoperta importante per spiegare sotto un punto di vista biochimico perché avvenga il recupero del peso perso. Ciò che la teoria della dietaGIFT spiega già da diversi anni, mentre un gran numero di operatori del settore – devo constatarlo con tristezza dai racconti dei miei pazienti – ancora ignora cosa sia e cosa faccia la leptina. Se lo sanno (auguriamocelo: la molecola è stata scoperta ormai 17 anni fa) è evidente che non fanno uso di questa conoscenza per indurre dimagrimento usando metodi diversi dalle consuete diete di restrizione.
Mi sarei aspettato da una ricerca come questa dei commenti su questo tono: “Perbacco, abbiamo dimostrato che le diete ipocaloriche non solo fanno male nell’immediato, generando crisi bulimiche e iperfagia, ma anche che per lungo tempo gli ormoni regolatori DELL’INTERO ORGANISMO (chi studia la leptina dovrebbe smetterla di considerarla solo un mediatore dell’appetiito, quando è invece un potente regolatore di tiroide, surrene, gonadi e ormoni anabolici) si trovano pesantemente alterati”. Dunque non solo chi ha subito una dieta da 500 kcal riprenderà il peso perso, ma si troverà anche la tiroide danneggiata, le masse muscolari ridotte al lumicino, inspiegabili amenorree, malattie autoimmuni o a base infiammatoria, sintomi depressivi, desiderio sessuale azzerato. E perchè i comitati etici, così attenti a che alle “cavie umane” vengano risparmiate sofferenze gratuite, consentono questo massacro? Forse perché gli sperimentatori stessi non ne sono coscienti?
Quali le conclusioni di chi ha commentato lo studio? Da brividi. Viene testualmente detto: “Dal punto di vista metabolico, si potrebbe dire, si è più normali quando si è più grassi”. E poi di seguito: “Una soluzione al problema potrebbe essere l’utilizzo di farmaci per riportare i livelli ormonali a quelli precedenti la perdita di peso”. Et voila. Traduco: poichè non siamo capaci, a causa della nostra ignoranza e disinformazione (si noti che i dati sulla leptina e sulle sue interazioni con le altre molecole segnale sono disponibili in letteratura scientifica da parecchi anni) di capire il processo, lo forziamo con dei farmaci, creando ulteriore squilibrio e scompiglio, per ripristinare i valori che NOI abbiamo danneggiato prescrivendo delle diete assurde.
La perla finale del Dr. Hirsch della Rockfeller University (che tra l’altro già nel 1995 aveva sperimentato gli effetti nefasti della restrizione calorica sul metabolismo) dice tutto il resto: “Il grande e diffuso sforzo compiuto per convincere le persone a cambiare le abitudini alimentari non ha avuto l’effetto preventivo sperato né ha curato l’obesità”. Ma quale diffuso sforzo, Dr. Hirsch, quello che ha convinto la massaia media a scegliere al supermercato un bel biscotto light con l’aspartame al posto dello zucchero? Quello che ha insegnato alle persone semplici che una merendina di farina raffinata zuccherata era il massimo della salubrità perchè conteneva meno calorie di una manciata di noci? Quello che ha insegnato che le proteine fanno male e che si può mangiare carne e uova una o due volte la settimana se no moriamo di cancro? O l’ordine di scuderia dei commenti deresponsabilizzanti che stanno comparendo sulla stampa americana in questi giorni? (un titolo per tutti su ABC Channel 5: “Not your fault: hormones linked to weight regain“). Not your fault. Non è colpa vostra. Capito il messaggio?
Quella che avete insegnato, e che purtroppo state insegnando ancora ora, ragionando solo e ottusamente di calorie è un’educazione alimentare incapace di distinguere tra un cibo in grado di indurre dimagrimento e aumento metabolico e un altro che fa l’opposto. Non vi deve essere consentito dire che l’educazione alimentare non può curare l’obesità. La VOSTRA educazione alimentare, che riempie la gente di zucchero, di edulcoranti, di farine raffinate e di panzane sulle calorie è ciò che non combatte (anzi aggrava) la piaga dell’obesità. Studiando, leggendo, informandovi, scambiando idee e opinioni è possibile che tra qualche anno vi riesca più facile capire il significato reale degli esperimenti (in verità bellissimi e preziosi) che avete fatto. Quel giorno saremo al vostro fianco per capire meglio, insieme, come funziona la complicata ma stupenda macchina umana.

Il tumore può essere reversibile?
di Andrea Pensotti, direttore scientifico di Saluteuropa Con questa domanda