Vi racconto la mia storia
Mi chiamo Pietro, sono uno studente di 23 anni di Fidenza (Pr).
Sono un appassionato di sport: da quattro anni pratico il triathlon a livello agonistico, ma mi piace anche partecipare a gare di nuoto in piscina o in acque libere, granfondo ciclistiche e corse podistiche.
Ho cominciato a leggere ieri sera il tuo libro e mi hanno subito entusiasmato i tuoi commenti sulla dieta a zona.
Il percorso che mi ha portato a condividere pienamente le tue parole è riassumibile in questi pochi punti:
1 – Ottobre 03 – finita la stagione agonistica, mi appresto a fare due settimane di riposo assoluto approfittandone per guarire una infiammazione alla caviglia.
Il problema è che tendo ad ingrassare: nonostante gli intensi allenamenti quotidiani la mia massa grassa è sempre al di sopra del 15%.
Con la prospettiva di 15 giorni di riposo mi decido a mettere in pratica ciò che avevo letto un paio di anni prima: comincia la zona.
Tengo a precisare: per me “zona” significava preparare tutti i pasti col computer, tenendo conto dei macronutrienti secondari e delle calorie totali.
2 – Primi 2 mesi – pratico esclusivamente nuoto e palestra. Dopo un periodo di adattamento vado alla grande, perdo massa grassa e riscontro tutti i benefici descritti nei libri di Sears.
3 – La zona vacilla – Introduco i primi allenamenti in bici e di corsa. La mia massa grassa è scesa al di sotto dell’8%o e, senza rendermene conto affronto leprime crisi ipoglicemiche, che sottovaluto attribuendo le scarse prestazioni ad uno stato di forma non ottimale. Nel frattempo cominciano le crisi di fame: sposto il rapporto P/C a 0.6 e liberalizzo i grassi. Paradossalmente gli allenamenti migliori arrivano regolarmente il giorno successivo allo sgarro, dove mi abbuffo di pasta e dolci.
4 – La Crisi – Arrivo al limite – dopo 2 settimane in ipoglicemia (i miei compagni di allenamento a nuoto stentano a riconoscermi) partecipo ad una corsa di 12km su strada.
Dopo 500mt non ho più forze e decido di assestare il ritmo a velocità bassissima per arrivare in fondo (con estrema fatica). Non ancora convinto, evito il ristoro finale e mangio una barretta bilanciata. Quando arrivo a casa divoro il pasto evado direttamente a letto per soffocare la fame nel sonno. Il resto della giornata è un disastro.
5 – La finestra – Dopo questo episodio mi rendo finalmente conto che da tempo non sono più in zona, nonostante faccia di tutto per esserlo. Introduco la finestra “Arcelli” e prenoto una visita dal Dott. Duranti . La dieta viene molto ammorbidita ed i risultati non tardano ad arrivare: ritorna il piacere e l’entusiasmo per l’allenamento, la fiducia in me stesso, la fame scompare e i tempi migliorano in modo incredibile.
6 – Finalmente ho capito come deve essere la mia alimentazione: sono molto più flessibile, se ne sento il bisogno aumento la frutta e la verdura, assumo carboidrati dopo ogni allenamento ed ho ritrovato l’armonia con me stesso.
Ora mi appresto a proseguire la lettura con entusiasmo.
Complimenti e grazie !!!
Pietro
Risponde Luca Speciani
Caro Pietro, sfondi una porta aperta.
Da tempo sostengo che la dieta a zona sia una dieta dimagrante molto severa ed estremamente ipocalorica, con un iniziale rapido calo, ma che provoca a ruota un abbassamento metabolico molto negativo. In special modo, applicata ad uno sportivo è evidente che il supporto energetico fornito all’atleta sia gravemente carente, ed anzi comporti dei rischi legati all’utilizzo delle proprie proteine muscolari come fonte energetica.
La fortuna dei tanti che applicano la zona e fanno sport, è che non la applicano fino in fondo, e si lasciano ampi margini di libertà alimentare.
Chi, come te, la applica in modo rigoroso, addirittura col computer per le razioni, va inevitabilmente incontro ai danni che mi racconti. Ed è ovvio: se si forniscono, con i calcoli calorici di Sears, 1000 kcal/giorno a chi ha un fabbisogno di 2500, ovviamente si avrà un decadimento prestativo nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore… meglio non parlarne.
La dieta a zona ha altri meriti non indifferenti: ha portato attenzione e interesse di tutto il mondo che ruota attorno all’alimentazione, sui pericoli legati all’eccessivo utilizzo di carboidrati (quando in america si criminalizzavano i grassi) e all’abuso di secrezione di insulina, con conseguenti problemi cardiovascolari nella popolazione.
Inoltre consente un dimagrimento iniziale piuttosto pronunciato, data la ristrettezza calorica che impone. Poiché però la “zona” si è voluta dare un’immagine sportiva, sarebbe ora che chi la promuove rompesse indugi e ipocrisie, dichiarando apertamente che per lo sportivo è impossibile, ed anzi negativo, mantenere il 40-30-30 di fronte ad elevati consumi energetici sportivi quotidiani. Ostinarsi a voler mantenere questa rigidità sostenendo che “in fondo il fegato e i reni sono fatti anche per rimuovere un eccesso di gruppi amminici” rasenta la scorrettezza scientifica.
Per tutti gli altri, con attività sportiva moderata o addirittura limitata, gli effetti sono, oltre allo stress mentale della “rinuncia continua”, quelli di un abbassamento metabolico deciso che porterà, appena tornati ad un’alimentazione più normale, ad accumulare nuovamente peso, spesso con gli interessi.
Ciao e a presto!
Luca