di Giampaolo Usai, Educatore alimentare e Professionista di Segnale
Ogni volta che accendiamo la TV, sfogliamo una pagina di una rivista o guardiamo un volantino al supermercato siamo costantemente bombardati da consigli nutrizionali del tipo “I prodotti a base di mandorle possono aumentare la tua memoria!”, “Il latte aiuta a costruire le ossa!”, “I cereali fanno parte di una colazione equilibrata, approvata dal medico per ragazzi in fase di crescita!”. Uno studio dietro l’altro ci suggerisce cosa dovremmo mangiare, quanto e quando. Parole come “superfood” e “senza additivi” ci convincono che stiamo facendo la scelta giusta quando prendiamo un articolo dallo scaffale e ci dirigiamo verso la cassa. Ma è davvero così?
L’invadenza (pericolosa)e gli inganni di Big Food
Tutti confidiamo sulla scienza della nutrizione che ci guida attraverso le scelte e ci aiuta a prendere le decisioni migliori per la nostra salute. Sembra che sia un approccio corretto, eccetto il fatto che spesso non è vero! Molti studi su cui confidiamo per prendere decisioni alimentari non sono finanziati da terze parti imparziali e dalla ricerca indipendente, ma in realtà sono remunerati dai colossi dell’industria alimentare che cercano di promuovere i propri prodotti. È quello che ci rivela da molti anni la celebre esperta americana di cibo, la nutrizionista e sociologa Marion Nestle, anche nel suo ultimo libro Unsavory Truth (La sgradevole verità: come le aziende alimentari distorcono la scienza del cibo che mangiamo”, 2018).
La scrittrice americana ci rivela come la maggior parte delle società scientifiche, e degli esperti che fanno parte dei dipartimenti del governo incaricati di redigere le linee guida sulla nutrizione, sono in realtà nei libri paga dell’industria alimentare. Che si tratti di uno studio che afferma come l’esercizio fisico moderato sia sufficiente per annullare le calorie nelle bibite zuccherate (sostenuto dalla Coca-Cola) o di uno su come i mirtilli possano ridurre il rischio di disfunzione erettile (sostenuto dall’Highbush Blueberry Council degli Stati Uniti), l’industria alimentare ha imparato come trasformare le indagini scientifiche di parte e molto selettive in un grande profitto. Come Big Pharma ha corrotto la scienza medica, così Big Food ha corrotto la scienza della nutrizione. In una nazione in cui più di due terzi degli adulti e un terzo dei bambini sono considerati in sovrappeso od obesi, non è mai stato così importante mettere la nostra salute pubblica al primo posto.
Un altro libro della stessa autrice (Soda Politics, 2015), aveva analizzato in dettaglio le politiche adottate dalle multinazionali dei soft drink (in primis Coca-Cola e PepsiCo) per promuovere le bevande a base di acqua e zucchero.
In Unsavory Truth, Nestle fa un’analisi di come il mondo istituzionale della nutrizione (Università, dipartimenti governativi e la ricerca in genere), sia condizionato non solo da parte di aziende che vendono alimenti spazzatura ricchi di zuccheri aggiunti, grassi e sale, ma anche da produttori di uova, latte, yogurt, noci e altri alimenti più o meno sani.
L’autrice affronta insomma il tema del conflitto di interesse nel mondo della Medicina e della Nutrizione e illustra come, da un punto di vista psicologico, molti ricercatori e medici non avvertano alcun problema o imbarazzo nel ricevere regali, rimborsi o favori da parte delle aziende produttrici di alimenti o farmaci, in quanto questo modo di agire è percepito come naturale e non influente o determinante sui comportamenti dei ricercatori stessi. Chi riceve un regalo dall’industria o un “rimborso” in denaro, ritiene che i regali e i rimborsi non abbiano influenza sull’esito delle ricerche scientifiche e dell’elaborazione dei dati. Il libro descrive come importanti riviste scientifiche (dal New England Journal of Medicine al British Medical Journal), le Università e le organizzazioni internazionali (OMS) abbiano deciso in realtà di affrontare il problema del conflitto di interessi in quanto fattore determinante per una corretta ricerca medico-scientifica.
La situazione in Italia
Nel nostro paese avvengono le stesse dinamiche di condizionamento e intromissione da parte delle multinazionali alimentari, proprio come negli Stati Uniti. E il fenomeno dei conflitti di interesse nell’ambito della ricerca non è ancora riconosciuto e affrontato come tale, se non nel mero ambito della cosiddetta “ricerca in campo sanitario”. Ciò significa che in Italia gli unici ricercatori o conferenzieri che hanno l’obbligo di dichiarare eventuali conflitti di interesse o finanziamenti da parte dell’industria sono quelli che ricevono soldi dalle aziende farmaceutiche, ma non quelli che li ricevono dalle multinazionali alimentari.
Ovviamente Heineken, Coca-Cola e Ferrero non hanno “interessi commerciali in campo sanitario” e quindi un relatore a un convegno di medicina (in cui si parla di diabete, obesità, malattie cardiovascolari) può benissimo essere sponsorizzato da questi colossi e dichiarare che “la birra fa bene al cuore e le bevande zuccherate non causano l’obesità” e nel contempo firmare un documento da cui risulta l’assenza di conflitto di interesse. In Italia l’attenzione è focalizzata ancora solo sui “portatori di interessi commerciali in campo sanitario”.
Prendiamo per esempio le raccomandazioni alla popolazione, che in Italia sono impartite dai comitati ministeriali di studiosi esperti sulla nutrizione riguardo l’assunzione dello zucchero. I cosiddetti LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti), emessi periodicamente dagli esperti, fissano una soglia del 15% di zuccheri semplici (aggiunti + naturali) sulle calorie totali, con un invito a non superare il 25% delle calorie totali giornaliere provenienti dagli zuccheri. Si tratta di valori di riferimento molto diversi da quelli raccomandati dall’OMS che, per esempio, invita a restare sotto il 10% e idealmente arrivare solo al 5% delle calorie totali da zuccheri.
Questa maggiore elasticità autorizza gli italiani a introdurre molto più zucchero nella dieta di quella che probabilmente è la soglia di sicurezza per evitare problemi di salute. Che ci sia stata l’influenza di qualche industria alimentare? Non ci è dato sapere, poiché agli addetti ai lavori dei LARN non è richiesto di dichiarare eventuali conflitti di interessi. A livello internazionale, sia l’OMS sia altri comitati di esperti di nazioni con problemi di obesità e diabete, stanno elaborando politiche di tassazione sui cibi e bevande contenenti zucchero aggiunto. Anche in questo caso l’Italia va in controtendenza. Nel nostro paese, per esempio, l’Associazione italiana di Dietetica e Nutrizione clinica organizza ogni anno i convegni chiamati Obesity Day,ma tra gli sponsor compaiono aziende produttrici di zucchero come Eridania e Novo Nordisk, quest’ultima un’azienda farmaceutica che produce farmaci e apparecchiature per il monitoraggio del diabete, un brand che come business ha quello di vendere farmaci per il diabete, non di fare prevenzione sul diabete!
Appare evidente, in conclusione, come la forte promiscuità tra aziende produttrici e ricerca medico-nutrizionale sia ancora oggi un grande ostacolo verso il cammino di una scienza libera e indipendente e verso una seria politica degli Stati di reale prevenzione e riduzione di molte malattie croniche e di molti problemi di sanità pubblica. Parlarne ai lettori come voi è già un primo passo per far maturare una maggiore consapevolezza sulle aree che in futuro occorre bonificare e risanare.
Numero 121 de L’Altra Medicina