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La teoria della forza dimagrante

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Quando con DietaGIFT si impara a lavorare in una dinamica “di segnale” (ovvero basandosi sulle risposte ipotalamiche di accumulo o di consumo invece che sulle calorie), si capisce ben presto la necessità di acquisire nuove regole alimentari che tengano conto di tutti i fattori in grado di influenzare le “scelte” dei nostri centri di regolazione situati nel sistema nervoso. Come per esempio una colazione ricca, la rinuncia allo zucchero e alle farine raffinate, oppure l’abitudine ad un regolare movimento fisico – anche moderato – e ad un adeguato apporto proteico quotidiano.
Talvolta però tali indicazioni non bastano e i pazienti, pur soddisfatti del nuovo stile di vita, e felici di poter finalmente ricominciare a mangiare quantità adeguate di nutrienti, si rendono conto del fatto che il calo ponderale è talvolta insoddisfacente a causa della lentezza del processo. Ciò avviene spesso per un motivo molto semplice: la persona sottoposta a continue diete ipocaloriche (anche nascoste sotto altri fantasiosi nomi) si trova in uno stato di deplezione muscolare, e deve dunque – prima di pensare di poter perdere massa grassa – recuperare livelli metabolici accettabili ricostruendo, appunto, il muscolo consumato dalle diete ipocaloriche (vedi per esempio il lavoro di Wadden et al.pubblicato sul JAMA già nel 1990).
Il peso del muscolo ricostruito, ovviamente, pesa sulla bilancia e rende meno “piacevole” il riscontro, che tuttavia resta piacevolissimo se il controllo viene invece effettuato con uno strumento adeguato (Biavector Akern, in uso presso i migliori operatori GIFT) in grado di monitorare correttamente la composizione corporea del paziente. Ma questo già lo sappiamo.
Altre volte invece capita che il calo di peso sia molto contenuto, anche in casi in cui la massa muscolare è sufficientemente conservata, e in relativa assenza di fattori di disturbo esterni (farmacologici, legati all’età o al sesso, per patologie tiroidee, allergie ecc.). Con magari in più la frustrazione relativa al fatto che l’amica, o il coniuge, hanno già perso 10 o 15 kg con la dietaGIFT, mentre “loro”, che pure applicano le regole meticolosamente, hanno solo risultati parziali. Che fare dunque in questi casi? La teoria della forza dimagrante può venirci in aiuto facendoci comprendere ancora meglio le sottili dinamiche dell’ingrassamento o del dimagrimento.
Chi ha ben compreso come funzioni la regolazione della leptina sull’ipotalamo sa che una ricca alimentazione (soprattutto mattutina) fornisce un potente segnale di abbondanza all’ipotalamo stesso, da cui discendono azioni potenti sulla tiroide, sui surreni, sulle gonadi e sull’apparato osteomuscolare. Molte volte, dunque, in fase di controllo, dove l’organismo abbia mostrato una risposta “pigra” allo stimolo, risulta di grande utilità (e sembra un paradosso!) aumentare ulteriormente l’apporto calorico giornaliero, insistendo in particolare su colazione e pranzo (dato già evidente con il lavoro di Farshchi e coll. sull’American Journal of Clinical Nutrition del 2005).
Si tratta perciò di spiegare al paziente (impresa oltremodo complicata) di trasformare una colazione da 3-4 gallette di riso con marmellata e tre noci, in una ben più ricca comprendente frutta, 3-4 fette di pane integrale con burro e marmellata, e un sacchetto di noci o nocciole da 50g. Se il paziente riesce a togliersi dal viso gli “occhiali” della dieta ipocalorica classica, ha spesso riscontri molto positivi nel consumo di grasso corporeo legati proprio all’attivazione tiroidea (Lechan 2006: la leptina stimola i neuroni TRH secernenti), che va a trasformare (ovvero a sprecare) una gran parte delle calorie assunte con il cibo, sotto forma di calore. Ma il movimento fisico, che favorisce l’interazione dell’adiponectina con il segnale leptinico ipotalamico, come si coniuga con questo “risveglio”?
La teoria della forza dimagrante spiega proprio il rapporto tra attività fisica e apporto calorico complessivo, a sua volta costituito dal raggiungimento dei fabbisogni sia dal punto di vita proteico che semplicemente calorico. In assenza del raggiungimento del fabbisogno calorico necessario si ricade infatti in una dinamica ipocalorica, con soppressione del segnale leptinico e conseguente deperimento (ovvero calo di massa magra) in luogo di dimagrimento (vedi illavoro di Schwartz et al. sul NEJM sull’abbassamento del metabolismo basale sotto regime ipocalorico). Escludiamo dunque questa fattispecie, le cui negative conseguenze abbiamo già più volte trattato: il raggiungimento del fabbisogno calorico e proteico di base deve essere il primo punto di partenza di ogni regime alimentare sano ed equilibrato, che non generi deperimento o altri danni organici (amenorrea, ipotiroidismo, astenia, depressione, osteoporosi, crisi ipoglicemiche).
La teoria della forza dimagrante consta di due punti fermi. Prima di tutto sostiene che debba essere soddisfatta completamente la richiesta energetica derivante all’organismo dal suo metabolismo basale, e dai consumi quotidiani sia ordinari che eventualmente sportivi. Questo sembra un punto elementare, ma non lo è. Le teorie classiche sul dimagrimento infatti sostengono che per dimagrire occorra o mangiare di meno (dieta ipocalorica) o fare tanto sport, così da consumare di più e generare una carenza energetica rispetto a quanto assunto con il cibo. Dal nostro punto di vista non vi è nulla di più scorretto. Che il deficit calorico si ottenga mangiando aria fritta o ammazzandosi di vasche in piscina, cambia poco. Se l’ipotalamo riceve segnali di carestia rallenterà il metabolismo e farà tutto il possibile per trattenere con forza il grasso esistente.
Questo meccanismo è alla base del maggior numero di fallimenti dietologici nel campo delle diete ipocaloriche, esplicite o nascoste che siano. E’ dunque indispensabile che apporto calorico e dispendio complessivo (inclusa attività fisica) siano strettamente correlati. Significa fare mangiare di più le persone che fanno sport, non di meno come ci insegna la dietologia classica, se vogliamo che dimagriscano. Se mangiano di meno NON dimagriranno, ma deperiranno, perché il loro setpoint del grasso non verrà in alcun modo modificato.
Matematicamente il primo punto si può esprimere come segue:
Mb + Cq + Af = Qp + Qe
(dove Mb è il metabolismo basale, Cq è il consumo legato alle attività quotidiane e Af quello legato all’attività fisica. Tale somma deve essere uguale alla quota proteica delle calorie quotidiane assunte, sommata alla quota energetica – zuccheri e grassi – del totale. In sintesi massima: tanto spendo, tanto devo assumere con il cibo)
Il secondo punto fermo – dato per acquisito il primo – è invece relativo al livello da raggiungere perché il segnale ipotalamico eserciti il suo effetto di stimolo al consumo delle scorte di grasso. Qui la teoria afferma che per ciascuno esiste un livello minimo (break even point, per usare un termine economico) superato il quale incomincia una massiva eliminazione del grasso superfluo. Tale livello può essere più alto o più basso in funzione di molti fattori esterni o interni.
Fattori che alzano tale livello (cioè rendono più difficile lo sblocco) sono per esempio l’età (più si è vecchi più serve forza); il sesso (la donna ha livelli più alti); l’assunzione di farmaci (cortisonici, antistaminici, psicofarmaci, betabloccanti, statine, antibiotici, immunosoppressivi alzano il livello); la presenza di patologie (ipotiroidismo, malattie autoimmuni, patologie infiammatorie, patologie ortopediche, resistenza insulinica/diabete, ipercortisolismo, e l’obesità stessa alzano il livello); alcuni comportamenti (fumo, alcol, insonnia/turni, allettamento, disabilità, sedentarietà completa, storia di amfetamine). Ciascun individuo si situerà dunque in modo dinamico ad un certo livello di sensibilità, che dovrà essere oltrepassato se vorremo riuscire ad indurre dimagrimento con efficacia.
Il modo per far salire il livello – recita la teoria della forza dimagrante – è quello di alzare contemporaneamente (per non infrangere il primo punto fermo, relativo alla parità tra apporti e consumi) sia il livello dell’attività fisica, sia l’apporto calorico complessivo, con riguardo sia alla quota proteica che alla quota energetica dello stesso. Questo va naturalmente nella direzione opposta rispetto a quanto proposto dalla dietologia classica, che per fare dimagrire le persone suggerisce o il solo incremento dell’attività fisica o la sola riduzione dell’apporto calorico (o entrambe). Noi invece sosteniamo con forza che entrambi i fattori debbano essere incrementati per indurre l’ipotalamo a promuovere la lipolisi. Qui sta la differenza fondamentale, tra l’altro la più difficile da far capire al paziente, che spesso riceve dal professionista GIFT un’insolita indicazione a mangiare di più invece che a mangiare di meno.
In modo un po’ più sintetico questo secondo punto fermo può essere espresso come segue:
Per (Mb+Cq+Af=Qp+Qe) < BEP (Break Even Point o “punto di sblocco”)
devo alzare Af, e di conseguenza Qe fino a che (Mb+Cq+Af=Qp+Qe) >= BEP
(in verità aumenta un poco anche Qp, ma molto limitatamente, tanto da poter essere sottinteso).
In sintesi massima: finché la persona non inizia a consumare grasso con decisione, occorre aumentare in modo proporzionale sia Af che Qe!
Dal punto di vista scientifico tali conclusioni nascono dall’incrocio tra le conoscenze sulla leptina e quelle sull’adiponectina, e dai numerosi lavori che segnalano le alterazioni ormonali derivanti da regimi ipocalorici (per esempio il bellissimo lavoro di Douyon et al del 2002). L’attività fisica regolare e costante genera infatti secrezione di adiponectina da parte del tessuto adiposo verso l’ipotalamo, ma il segnale ipotalamico al dimagrimento e alla lipolisi va a buon fine solo se contemporaneamente si ha secrezione di leptina, che sta a rappresentare un regime almeno normocalorico (e con ancora maggiore efficacia se leggermente ipercalorico).
Nella “praticaccia” questo significa, dopo aver analizzato la situazione specifica del singolo paziente, impostare un regime che preveda grande abbondanza alimentare soprattutto a colazione (e in parte al pranzo), per massimizzare lo stimolo leptinico ipotalamico, gestendo contemporaneamente l’avviamento verso un’attività sportiva più regolare e possibilmente quotidiana, per generare lo stimolo adiponectinico. Che significa dire al paziente che non deve mangiare di meno: semmai di più, senza mai perdere colpi dal punto di vista sportivo. Ricordiamoci che fare sport non vuol dire schiantarsi di fatica, ma soltanto indurre un graduale crescendo di impegno rispetto a quanto finora praticato. Impegno che dovrà poi gradualmente aumentare fino a che il livello del break even point non sia stato superato. A quel punto – come l’esperienza clinica ci dimostra ampiamente – la perdita di massa grassa diventa rapida e quantitativamente consistente, con tutti gli effetti virtuosi sulle altre patologie eventualmente in atto (ipertensione, diabete, ipotiroidismo ecc.).
La regolazione sulle quantità, all’interno dei precisi vincoli previsti dalla dietaGIFT, può a questo punto essere regolata dalle sensazioni naturali di fame o di sazietà del paziente, al quale si chiede di mangiare fino ad essere del tutto sazio (a colazione), ma anche di non avere MAI FAME (o almeno non una fame che non sia saziabile con un frutto) al di fuori dei tre pasti principali. La sensazione di fame tra i pasti, anche se controllata, è segno di ipocaloricità della dieta (magari anche involontaria) e va immediatamente corretta, aumentando (nel giorno successivo) l’apporto calorico dei pasti precedenti.
Si tratta di una rivoluzione concettuale di primaria importanza, che in un futuro potrebbe anche consentirci di graduare correttamente l’intervento a priori assegnando per esempio dei “punti” di difficoltà ad ogni “ostacolo” che allontani il break even point. Ma siamo ancora lontani: viviamo in un mondo scientifico che – per mille motivi che non è qui il caso d’indagare ulteriormente – ancora ignora, o almeno non unisce, le conoscenze rivoluzionarie che numerosi recenti lavori ci hanno messo a disposizione per comprendere le dinamiche di ingrassamento e dimagrimento degli individui.
Questa è l’essenza della dietaGIFT, non la singola regoletta, comune magari ad altre cento diete. L’obbligo della normocaloricità come regola di base, e la ricerca del punto di sblocco attraverso l’aumento cntemporaneo di attività fisica e apporto calorico. Il professionista abilitato GIFT non è un semplice operatore che va ad indicare al paziente delle regole da seguire: è un innovatore coraggioso che ha capito la rivoluzione culturale che sta dietro all’abbandono delle calorie come principio guida, e che sa indicare al paziente la via giusta – con solide basi scientifiche alle spalle – anche, se necessario, in completa opposizione con le idee obsolete ma ahimé ancora diffuse, che dominano il mercato.
Da qualche anno i regimi dietologici che tengono conto delle interazioni tra enterochine e adipochine in questo processo prendono il nome di “diete di segnale”, per distinguerle dalle diete che si basano invece fondamentalmente sull’apporto calorico. E’ ora di vedere questi fenomeni con occhi nuovi e di impostare un ampio lavoro di revisione che può essere svolto (come dice Planck nella sua famosa e provocatoria frase) solo da una nuova generazione, preparata ad affrontare l’argomento in quest’ ottica completamente rinnovata. Speriamo di essere in molti, molto preparati, molto coraggiosi.

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