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La “balla” del colesterolo: per quanto ancora?

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Di Luca Speciani e Lyda Bottino

Sul numero di Correre del mese di ottobre una lucida analisi sui reali motivi della recente discutibile presa di posizione della società europea di cardiologia che riduce ulteriormente i limiti accettabili per il colesterolo ematico. A breve, dunque, saremo tutti “malati”. Che sia giunto il momento per una forte reazione da parte di medici e ricercatori liberi non legati all’industria?

Una grande campagna di marketing

Se si studiano un po’ più da vicino i lavori scientifici sui rischi derivanti da colesterolo alto, senza farsi fasciare la testa dai comunicati di marketing delle aziende (spesso travestiti da comunicazione scientifica) la realtà appare molto diversa da come viene dipinta. Gli studi più grandi sono infatti tutti finanziati dalle aziende produttrici di statine (farmaci anticolesterolo) con contratti spesso umilianti per i ricercatori, che devono fornire i dati all’azienda, la quale poi deciderà cosa pubblicare e cosa no, e soprattutto cosa evidenziare e cosa no tra i dati emersi. Ciò consente una forte manipolazione dei dati che è tutto tranne che scientifica, e che mette in evidenza ciò che fa comodo al marketing piuttosto che ciò che tutela la salute delle persone (ad esempio trasformando con giochi statistici un vantaggio reale dello 0,02% in un 20% di riduzione del rischio). Gli interessi commerciali in gioco, altissimi, hanno portato in trent’anni a far identificare il più grande nemico del cuore nel colesterolo stesso.

Il dato è naturalmente falso: la scienza anche qui ci insegna, attraverso lavori indipendenti o grazie alle revisioni sistematiche della Cochrane collaboration, un’istituzione indipendente che valuta solo lavori scientifici impeccabili) che la riduzione del danno cardiovascolare è minima se si riduce il colesterolo, mentre contestualmente si alza la mortalità per tutte le cause (si vedano i lavori di A Tamosiunas su PloS One del Dec 2014, e di T Hamazaki sugli Ann Nutr Metab del 2015).

Ben più gravi fattori di rischio sono il diabete, l’ipertensione, l’obesità, la sedentarietà, il fumo. Ma tant’è: una cosa falsa, a ripeterla un sufficiente numero di volte, diventa vera nell’immaginario collettivo. Se poi dietro una bugia ci sono i tromboni del marketing di una potente lobby, si può immaginare quanto sia difficile ristabilire la verità scientifica.

Conflitti di interesse enormi

Da anni ormai la saga del colesterolo si arricchisce di nuovi sorprendenti capitoli. La gente comune ha potuto osservare come nel 1980 avere un colesterolo totale a 250 fosse perfettamente normale, mentre via via che passavano gli anni coloro che avevano 240, poi 230, poi 201 erano un po’ per volta entrati nel gruppo dei “malati”.

Si dice che, facendo due calcoli, nel passaggio da 250 a 200 negli USA, milioni di persone siano passate, in una notte, da sane ad ammalate e bisognose di terapie.

Chi è che decide le linee guida raccomandate per una patologia? Le cosiddette “società scientifiche” che sono quelle società che raggruppano tutti gli specialisti di una certa area, come per esempio la società italiana di cardiologia, l’associazione dietologi italiani ecc. Ai vertici di queste società stanno spesso professionisti al vertice della carriera, che effettuano consulenze e servizi per le maggiori industrie farmaceutiche.

Sembra quindi evidente a tutti l’esistenza di un forte conflitto di interesse tra raccomandazioni che dovrebbero tutelare il malato, garantendogli le migliori cure, e raccomandazioni volte invece a incentivare il consumo di farmaci prodotti da una certa azienda che finanzia i singoli o, talvolta, le associazioni stesse. Se si interpellano i presidenti di queste associazioni di specialisti, viene sempre negata qualunque influenza esterna. “Certo, il conflitto d’interessi c’è, ma noi non ne siamo toccati”, dicono. “La nostra professionalità ci impone onesta ed equità”. Ricerche scientifiche però dimostrano che anche solo il dono ad un medico di una penna o di un block notes, lo fa sentire in debito verso il donatore. Figuriamoci come si deve sentire colui che riceve magari centinaia di migliaia di euro ogni anno per i propri progetti di ricerca da un’azienda per la quale la creazione di nuovi malati a tavolino, con nuove linee guida più ristrette, vale diversi miliardi di fatturato.

Una teoria superata

Il campo delle patologie cardiovascolari, e in particolare quella zona grigia dell’ipercolesterolemia, è da anni al centro dell’interessata attenzione delle aziende produttrici di farmaci per le dislipidemie. Una delle politiche di marketing più redditizie degli ultimi 50 anni volte a vendere farmaci a più persone possibili è stata quella di medicalizzare stati naturali della vita dell’uomo (adolescenza, gravidanza, menopausa, invecchiamento, acidità gastrica). Per chi volesse creare nuovi malati, invece, niente di più facile che restringere i parametri di normalità delle linee guida. In questo modo il numero dei “bisognosi di trattamento” sale esponenzialmente. Il colesterolo rappresenta un esempio perfetto di entrambe le tecniche: si tratta infatti di un parametro del sangue di facile misurabilità, del tutto asintomatico (nessuno ha la riprova del fatto che faccia male o faccia bene), il cui contributo al rischio cardiovascolare è minimo o nullo. La teoria del colesterolo, più volte discussa e smentita, si è basata inizialmente su studi degli anni ’40, in cui venivano nutriti conigli con cibi ricchi di colesterolo, prendendo poi atto del fatto che quei conigli sviluppavano malattie cardiovascolari gravi (sarebbe stato sorprendente il contrario, essendo i conigli strettamente erbivori). In seguito lo studio “Seven countries” ideato da Ancel Keys con gravi errori metodologici ha creato l’illusione che il colesterolo fosse alla base delle patologie cardiovascolari, quando – al più – sembra oggi essere un comprimario minore. Studiosi, ricercatori e cardiologi clinici del calibro di Michel De Lorgeril, Philippe Even, Malcolm Kendrick, Ben Goldacre, Peter Goetzsche hanno espresso forti e documentate critiche scientifiche verso questa datata teoria, artificialmente tenuta in vita da forti interessi commerciali.

Perseverare diabolicum

Bene, nel 2016 la società europea di cardiologia, incurante delle forti critiche in essere, si è espressa con insolita chiarezza (proprio mentre BMJ pubblicava un lavoro che documentava come sopra i 65 anni non desse alcun vantaggio il trattamento con statine) e ha fissato i nuovi limiti da non superare, questa volta però concentrandosi sul colesterolo cosiddetto “cattivo” ovvero l’LDL, portandone i valori su livelli veramente bassissimi. Il massimo consentito è pari a 100: un valore talmente basso da essere sconosciuto ai più (tra i nostri pazienti sono davvero pochissimi quelli con LDL minore di 100). E se il paziente ha altri fattori di rischio cardiovascolare, si deve stare sotto i 70. Il che significa che a breve saremo tutti eleggibili ad una terapia con statine. Ma anche se stiamo in perfetta salute? Si, anche in uno stato di perfetta salute, come quello di molti atleti della nazionale di ultramaratona che da anni seguiamo, il cui colesterolo totale supera spesso il valore di 300.

La realtà è che la paura del colesterolo non ha basi scientifiche. Ci è stata “suggerita” dall’industria farmaceutica al preciso scopo di incrementare le vendite di farmaci in grado di abbassarlo. Che infatti sono i farmaci in assoluto più venduti al mondo, nonostante i ridottissimi vantaggi clinici che producono e gli importanti effetti collaterali indotti (che hanno portato al ritiro dal commercio, in anni recenti, di diverse statine che avevano prodotto decessi per rabdomiolisi muscolare e danni renali). L’abbassamento del colesterolo infatti, sia ottenuto con farmaci che, paradossalmente, con la sola dieta, aumenta in modo importante la mortalità per tutte le cause. Questo dato è presente in tutti i lavori scientifici sul colesterolo, ma è stato accuratamente coperto o non divulgato, mentre il leggero vantaggio cardiovascolare veniva “urlato” in congressi e convegni, su giornali e TV (si veda la recente metanalisi su BMJ di U Ravnskov et al. del giugno 2016: aumento della mortalità per tutte le cause del 20% per riduzioni colesterolo medie del 13%). Come si può spiegare questo?

Una preziosa molecola

Indubbiamente il colesterolo è una molecola molto importante per il nostro organismo. Tanto importante che non vi è alcun sistema enzimatico previsto per il suo smontaggio a fini energetici (che avviene invece per i trigliceridi). Il colesterolo è poi precursore di molte importanti molecole biologiche, il cui solo elenco la dice lunga sui motivi per cui un suo abbassamento può essere deleterio. Dal colesterolo si ottiene il testosterone, gli estrogeni, gli altri steroidi sessuali. Si ottengono poi gli steroidi anabolizzanti (massa muscolare), il cortisolo (risposta allo stress), la vitamina D (osteoporosi), il coenzima Q10 (funzionalità mitocondriale), alcuni componenti della bile (digestione), una parte delle guaine mieliniche (sistema nervoso). Attraverso il colesterolo poi si regola la rigidità della membrana cellulare, che può esporre in misura maggiore o minore i recettori determinando resistenze e permeabilità. Non stupisce dunque il fatto che una riduzione artificiale del colesterolo possa fare di gran lunga più danno rispetto ad una sua abbondanza. Che è esattamente ciò che la scienza ci dice.

Per uno sportivo ridurre il colesterolo può nuocere fortemente alle prestazioni. Senza alcun dubbio vedere ridotte le proprie dotazioni di testosterone (che regola forza muscolare e “cattiveria” in gara), di cortisolo (che determina umore e motivazione), di steroidi anabolizzanti (crescita muscolare) e di funzionalità nervosa, può provocare indirettamente una forte riduzione prestativa. Ma il più forte danno verso chi fa sport è il blocco (indotto dalle statine) del coenzima Q10, in assenza del quale l’attività dei mitocondri (le centraline energetiche delle nostre cellule muscolari) viene fortemente ridotta. Quando una cellula si trova a dover svolgere un’intensa attività muscolare – come quella richiesta dal gesto sportivo – la minor funzionalità mitocondriale genera dolori muscolari diffusi, stanchezza, rabdomiolisi (rottura delle cellule). La (per fortuna rara) mortalità da statine segnalata sui “bugiardini” di questa classe di farmaci è dovuta proprio al blocco renale derivante dai residui di cellule muscolari morte, ed è stata la causa del ritiro dal mercato del Lipobay (una delle prime statine in commercio) alcuni anni fa.

Reagire

Ora, per volontà di eminenti società di cardiologi – il cui conflitto di interessi è grande come un grattacielo – milioni di persone sostanzialmente sane diventeranno eleggibili al trattamento con statine (peraltro gratuito, a carico delle nostre tasse). Quanto questo possa generare danno alla nostra salute e alle nostre tasche, lo dirà solo il tempo. Chi ci vuole tutti malati, starà solo fregandosi le mani. Ma, ci chiediamo noi, non sarebbe ora che chi (lautamente retribuito) fa finta di vigilare sulla salute pubblica, e invece la mette a repentaglio accontentando incondizionatamente i desideri dell’industria, fosse rimosso con vergogna? Anche fingere di non vedere è una colpa. Ha scritto De Andrè: “Se la paura di guardare, vi ha fatto chinare il mento, se il fuoco ha risparmiato le vostre millecento, anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. Milioni di persone sane catalogate da un giorno all’altro come malate, per puri interessi commerciali, non possono lasciarci indifferenti. Speriamo di non essere i soli a voler reagire.

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