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Gastroprotettore a chi?

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L’impegno di marketing delle aziende farmaceutiche non conosce tregua. Una volta immesso sul mercato un nuovo tipo di farmaco, il suo utilizzo viene spinto talvolta oltre i limiti del buon senso, con martellanti campagne pubblicitarie e utilizzi frequentemente “off label”, ovvero al di fuori delle indicazioni ministeriali per le quali il farmaco è stato approvato.
Più volte, su queste pagine, abbiamo messo in guardia chi pratica sport di endurance dall’abuso di farmaci, per gli effetti collaterali che – magari sopportabili in un sedentario – nell’atleta possono talvolta nuocere in modo grave alla prestazione sportiva.
Negli ultimi anni si è assistito ad una cospicua diffusione della prescrizione di una classe di farmaci eufemisticamente definita dei “gastroprotettori”, più scientificamente indicati con il nome di IPP (o PPI): inibitori di pompa protonica (proton pump inhibitors). I nomi dei principi attivi finiscono tutti in -zolo (omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo), commercialmente noti come Pantorc, Lucen, Nexium, Lansox ecc. Sono in assoluto tra i farmaci più venduti al mondo. Forse è meglio conoscerli più a fondo.
Gastroprotettori mica tanto…
Il compito di questi farmaci è quello di bloccare il naturale meccanismo di acidificazione dello stomaco (svolto, appunto, dalla pompa protonica presente nelle cellule gastriche, che riversano acido cloridrico nello stomaco) inibendo questa specifica categoria di cellule. Il risultato è che lo stomaco smette di diventare acido, passando dal pH che madre natura ha previsto per lui durante la digestione (anche 1,5-2) a un pH pressoché neutro (7). Per questo motivo tali farmaci vengono prescritti a chi soffra di ernia iatale o di reflusso gastroesofageo (uno sbocco di succhi gastrici nell’esofago), a chi assuma FANS (aspirina, nimesulide) o cortisonici (rischio ulcera), a chi abbia gastrite, a chi sia risultato positivo al test dell’Helycobacter pylori, a chi abbia un abbassamento di voce verosimilmente dovuto ad irritazione di corde vocali da vapori acidi gastrici. E chissà a quanti altri. Ma come abbiamo fatto ad accettare che un farmaco, la cui azione è quella di bloccare le cellule dello stomaco, possa venire colloquialmente chiamato “gastroprotettore”? Non è mai venuto a qualcuno il dubbio che se quelle cellule sono lì e hanno una specifica funzione, madre natura le avrà messe per qualche motivo?
Pesanti effetti collaterali
Se ci fermiamo un momento a riflettere sulla facilità di prescrizione di questi farmaci, talvolta davvero distribuiti come se fossero caramelle (e in particolare a molti atleti, il cui reflusso è dato in molti casi semplicemente dal recarsi a correre senza avere ancora completamente digerito), dobbiamo trarre qualche triste considerazione. A partire dalla non accettazione del nome di “gastroprotettore”, per arrivare ad informarci correttamente sui danni procurati da questa classe di farmaci.
Gli effetti collaterali sgraditi di questi composti chimici sono diversi, e vanno dell’induzione di carenza di vitamina B12 fino alla poliposi intestinale (stimolata dalla maggior secrezione di gastrina con cui il corpo cerca di rispondere al blocco farmacologico), ma il problema maggiore derivante dall’uso di questa classe di farmaci è la risposta allergico-infiammatoria conseguente alla loro potente azione di alterazione del transito intestinale. Un pH neutro nello stomaco impedisce infatti la naturale sterilizzazione dei cibi che ingeriamo. Il che significa in poche parole che batteri e virus che normalmente venivano uccisi dal pH acido dello stomaco, sotto farmaco passano tranquillamente nell’intestino provocando una reazione infiammatoria e allergica molto intensa. Invece di essere uccisi dal pH gastrico, infatti, batteri e virus arrivano intatti nel duodeno dove vengono attaccati (fortunatamente) dal nostro sistema immunitario, che scatena loro contro linfociti, anticorpi, macrofagi, eosinofili, radicali liberi, e tutto l’armamentario da combattimento di cui il nostro intestino è dotato. Questa battaglia, tuttavia, genera una forte situazione infiammatoria locale, poi generale, che per molti atleti può essere dannosa.
Prestazioni ridotte
Poiché la stimolazione di risposte allergiche e infiammatorie (ancor di più se croniche) è un potente fattore di rallentamento della prestazione sportiva, diventa necessario per gli atleti stare in guardia verso un abuso di questi farmaci. In particolare da parte di chiunque sia già sensibile a patologie allergiche o autoimmuni, non rare tra chi corre.
Anche la digestione viene fortemente rallentata dai “gastroprotettori”. Alcuni enzimi gastrici, infatti (come per esempio il pepsinogeno) hanno bisogno dell’ambiente acido digestivo per attivarsi (e, nel caso del pepsinogeno, diventare pepsina). Con il farmaco la pepsina non si forma e molte proteine rimangono non smontate, con due effetti negativi. Il primo è che la digestione sarà prolungata, perché richiederà un maggior lavoro delle proteasi pancreatiche (e tutti sappiamo con quale difficoltà si faccia sport con il cibo ancora sullo stomaco). Il secondo è ancora legato alla presenza di proteine intatte nell’intestino, che possono ancora portare con sé il segnale di “allarme immunitario” legato alla pianta o all’animale di origine. Tanto che il sistema immunitario intestinale (il cosiddetto GALT: gastrointestinal associated lymphoid tissue) può trovarsi a dire: “Perbacco, che ci fa un pollo (o una pianta di mais) nel mio intestino?” scatenando una risposta difensiva esagerata che può implicare radicali liberi, gonfiore ed anche una esacerbazione delle risposte allergiche eventualmente in atto.
Prudenza e conoscenza
Prima di assumere un qualsiasi farmaco è insomma sempre indispensabile confrontarsi con un medico preparato che conosca le interazioni del farmaco stesso con la prestazione sportiva. Se ci fidiamo delle indicazioni della pubblicità siamo finiti. Per ciascuna patologia, vorrebbero farci credere, c’è una pastiglia magica in grado di curarla. Nulla di più falso. Incominciamo a renderci conto, intanto, che i farmaci la maggior parte delle volte sopprimono soltanto un sintomo, senza assolutamente “guarire” la patologia in essere. Secondariamente usiamo un principio generale di prudenza nell’assunzione di qualunque sostanza chimica in grado di interferire col nostro organismo, ancora di più se, come in questo caso, blocca la funzione di cellule che madre natura ha posto nello stomaco con un preciso significato: sterilizzare il cibo che mangiamo e attivare importanti enzimi a livello gastrico.
Ogni bravo medico deve sapere che il principio ippocratico del “prima non nuocere” va sempre rispettato. Facciamo in modo, anche da pazienti, che il nostro medico non se lo dimentichi.

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