Il testo che segue è una estrema sintesi della mia tesi di Laurea Magistrale in Scienze dell’Alimentazione, dal titolo “Analisi degli effetti delle diete ipocaloriche e nuovi possibili approcci” nel quale raccolgo alcuni degli studi sugli effetti negativi, a breve e lungo termine dell’approccio ipocalorico, e fornendo solidi studi a favore di un approccio in perfetto stile GIFT.
L’obesità, vera pandemia.
L’epidemia di obesità mondiale, nonostante l’impegno della comunità scientifica, non tende a diminuire, anzi, il trend è in netta crescita, soprattutto nella popolazione piu giovane, dove problematiche che in passato erano tipicamente dell’età senile, come il diabete di tipo II, la steatosi epatica, appaiono ora sempre piu spesso in età pediatrica.
L’approccio per questa problematica, che per molto tempo è stata vista solo come una mera questione estetica, è stato nella maggior parte dei casi di tipo quantitativo, in un fiorire di diete più o meno fantasiose, più o meno basate su fondamenti scientifici. Si sono avute quindi diete mono alimento, diete di esclusione, diete dissociate, diete “punti”, ma tutte con una caratteristica comune: il controllo delle calorie. Alcune diete promettevano di mangiare “a sazietà”, ma magari di un solo alimento, cosa che notoriamente in breve tempo provoca nausea, e quindi altro non erano che ipocaloriche mascherate, oltre essere profondamente squilibrate.
Una importante metanalisi valuta i risultati dell’approccio alimentare degli ultimi decenni, e conclude che l’approccio focalizzato sulle calorie, sui grassi, potrebbe aver ulteriormente esacerbato l’epidemia di obesità e della malattie ad essa correlate. Concentrandosi sulle calorie di alcuni specifici alimenti, non si riesce a riconoscerne gli effetti metabolici. I cibi profondamente trasformati e composti principalmente di zuccheri e amidi a veloce assorbimento, possono essere molto dannosi anche a dosi “controllate”. Tali carboidrati possono indurre cambiamenti neuro-ormonali che potrebbero loro volta, contribuire a stimolare un consumo eccessivo di cibo spazzatura, e a ridurre la propensione al movimento, fattori che sono stati ormai riconosciuti come alla base dell’obesità.
L’approccio ipocalorico, ricadute sull’organismo a breve e lungo termine.
Un regime ipocalorico, soprattutto se protratto nel tempo, può portare a una diminuzione della massa magra, una alterazione del microbiota, lo sviluppo di binge, e non per ultimo, la scarsa compliance del paziente, con una altissima probabilità di fallimento del programma alimentare.
Una dieta di restrizione genera una illusoria, rapida, perdita di peso, che è dovuta in larga parte alla perdita di acqua legata al glicogeno muscolare ed epatico, utilizzato a scopo energetico, alla perdita di massa magra, meccanismo noto come catabolismo muscolare attivato dall’ipoglicemia, e in piccola parte alla perdita di grasso. Nella maggior parte dei casi però, il regime restrittivo si contrappone ai forti, ridondanti meccanismi di sopravvivenza che mette in atto il nostro organismo dalla “carestia”, sia calorica che di nutrienti, che spinge tra le altre cose, alla ricerca compulsiva di cibo, con predilezione di quello molto calorico, motivo per il quale oltre il 90% delle diete ipocaloriche sono abbandonate nel breve periodo (e spesso la restante parte, nel lungo periodo!). Questo porta l’individuo a riprendere il peso iniziale che però, sarà composto stavolta di minor massa magra (persa nel periodo di restrizione calorica), maggior massa grassa, e spesso con sviluppo di binge alimentari dovuti alle privazioni. Tutti meccanismi che al livello evolutivo sono salvifici, (poco cibo, quindi poco dispendio economico e stimolo alla continua ricerca di cibo) ma che nella società obesogenica di oggi, portano a un circolo vizioso noto come “effetto yo-yo” con una alternanza di dieta/restrizione/dieta, che porta ad accumulare negli anni molto peso, a perdere massa muscolare e spesso fiducia in se stessi, oltrechè a carenze, e quindi malattie, perché in questa altalena non si è mai davvero imparato a nutrirsi.
Il dolce inganno (ma non per il nostro cervello!)
Per mascherare la scarsa appetibilità dei regimi dimagranti, si fa largo uso di edulcoranti, utilizzati ad esempio per produrre bibite zero, ma questo è stato visto essere associato ad un aumento di peso a lungo termine. Gli edulcoranti, dopo solo pochi giorni di assunzione, alterano la flora batterica intestinale, a favore di una popolazione obesogenica che altera il metabolismo di grassi e carboidrati, predisponendo al diabete e alla sindrome metabolica. La caloria zero, inoltre è percepita come un inganno dal nostro cervello che reagisce in due modi, generando rapidamente un nuovo stimolo della fame, e aumentando la soglia del dolce, quasi a compensare le calorie mancanti nel prodotto light. L’inganno è sempre percepito come un pericolo, e il corpo reagisce tentando di aumentare gli introiti energetici, sia con l’assunzione di altre calorie, sia aumentando la capacità di estrazione di energia dai nutrienti introdotti.
Finora quindi l’approccio basato sul puro calcolo calorico, si è opposto a tutti i meccanismi biologici che regolano il nostro organismo, dalla notte dei tempi, e, possiamo dirlo, con pessimi risultati. Quale può essere quindi, una via più durevole e fisiologica per il la cura dell’obesità e alle malattie che da essa derivano?
E’ possibile ottenere una perdita di peso fisiologica, e a lungo termine, rispettando i segnali ormonali del nostro organismo, volti alla sopravvivenza e all’equilibrio, con un approccio normocalorico, attività fisica regolare, controllo dell’infiammazione e ripristino del microbiota intestinale.
L’approccio piu fisiologico: seguire i segnali ormonali.
La normocaloricità permette l’espressione di quelle molecole, come la leptina, capaci di normalizzare l’appetito e le spese energetiche, e se affiancata ad una regolare attività fisica, garantisce una costante perdita di peso, e preserva la massa magra. Uno studio ha evidenziato come, l’attività fisica sia in grado di modulare il bisogno di cibi dolci e molto calorici. Nell’esperimento, due gruppi di donne, metà normopeso, e l’altra sovrappeso sono state sottoposte ad elettroencefalogramma che valutava la loro risposta nei confronti di immagini di alimenti o, nel gruppo controllo, di fiori; questo è stato fatto dopo un allenamento medio/intenso. La stessa indagine tramite elettroencefalogramma è stata eseguita in giorni in cui le donne non si allenavano. Da queste analisi è emerso un minor interesse verso il cibo, nei giorni in cui le donne si erano allenate, e si registrava anche, nel corso di tutta la giornata, una maggiore inclinazione a muoversi. Questo, in egual misura nelle donne normopeso o sovrappeso. Su quale sia il protocollo piu adatto per la perdita di peso, è ancora aperto il dibattito, su una sola cosa tutta la comunità scientifica è d’accordo “Muoversi, fa bene, sempre”. Perché al di là dell’approccio, che sarà personalizzato secondo il soggetto esistono altri meccanismi capaci di portare benefici a lungo termine.
Le vie della ricompensa.
Uno dei probabili meccanismi alla base della capacità dell’attività fisica, di regolare l’appetito, è la sua azione sulle zone cerebrali deputate alle vie della ricompensa, del piacere e della gratificazione e della dopamina, che ne è il suo mediatore principale. L’esercizio migliora la capacità dell’individuo alla resilienza, ossia la capacità di sopportare gli stress, di adattarsi alle situazioni avverse, e riduce i livelli di cortisolo; questi effetti sono determinanti nella gestione dell’appetito e del dimagrimento a lungo termine, probabilmente molto piu del semplice consumo calorico durante l’esercizio. Infatti le vie della ricompensa favoriscono quei comportamenti utili a soddisfare bisogni organici, come il sesso, il buon cibo, e ci spinge, attraverso lo stimolo del piacere, a compierli nuovamente.
L’attività fisica si è rivelato un ottimo strumento per stimolare il sistema degli oppioidi endogeni,struttura funzionale al sistema della ricompensa e risposta allo stress, in grado di regolare i meccanismi di vulnerabilità alle dipendenze, azione chiave nel trattamento dei disordini alimentari.
Il sistema della ricompensa è ben conosciuto dall’industria alimentare, che lavora per creare delle formulazioni che siano piu gradite possibile, e che appunto stimolino il sistema della ricompensa, attraverso un attento mix di grassi, sale e zuccheri, che spinga il consumatore a ripetere l’esperienza , quindi ad acquistare nuovamente il prodotto. Il punto massimo di stimolo delle vie della dopamina è detto Bliss Point, o punto di beatitudine, che si ottiene con la perfetta concentrazione di zuccheri, sale e grassi, e rende difficile, rinunciarvi. Purtroppo però ci si abitua rapidamente al meccanismo tanto che, per ottenere la stessa sensazione di piacere, diventa necessario aumentare la dose o la frequenza dell’assunzione dell’alimento. Anche se con effetti meno devastanti, questo meccanismo di risposta al cibo è del tutto simile a quello che un alcolista ha con l’alcol o un tossicodipendente con una droga. Appare quindi ancora piu importante andare a favorire le nostre naturali vie della ricompensa, con l’attività fisica, con la meditazione, con il buon sonno e le relazioni sociali, piuttosto che mortificarle attraverso del cibo spesso insipido o falsamente gustoso, come quello light; il sistema della ricompensa lavora su meccanismi molto profondi ed inconsci, e la volontà razionale a bloccarle, sarà rapidamente annientata.
Un fattore determinante per benessere: il controllo glicemico.
Una delle dinamiche nutrizionali che incide maggiormente sulle variazioni di peso è quella dei picchi glicemici, che derivano da una inadeguata utilizzazione degli zuccheri presenti negli alimenti e che inducono infiammazione di basso grado che predispone a malattie croniche e ad aumento di massa grassa.
Quando si assumono dei carboidrati semplici, a rapido assorbimento, come dello zucchero puro, della pasta o pane bianco, gli zuccheri presenti nell’alimento, passano molto velocemente nel sangue, portando ad una condizione di iper glicemia, e ad una intensa secrezione di insulina, ormone deputato alla gestione della glicemia, in misura adeguata alla normalizzazione dei livelli ematici di glucosio, quindi, maggiore sarà l’impennata glicemica, maggiore sarà la secrezione di insulina; la quantità di insulina è tale da portare gli zuccheri nel sangue ad un livello ancora piu basso di prima dell’assunzione dello zucchero, causando la così detta ipo glicemia reattiva, che provoca sintomi come stanchezza, confusione mentale, e porta, dopo un’ora dal pasto, alla ricerca di nuovo cibo, che spesso si traduce in uno “spuntino” a base di crackers o in un altro caffè zuccherato alla ricerca di una illusoria energia che per lo stesso meccanismo esposto si tradurrà in un nuovo picco glicemico e successiva ipoglicemia reattiva e fame. Questi stimoli continui della glicemia si traducono rapidamente in depositi di grasso e hanno effetto di generare glicazione delle proteine plasmatiche e infiammazione di basso grado, alla base di tutte le moderne patologie non infettive.
Una delle “strategie” per controllare i picchi glicemici è quella di limitare al minimo l’assunzione di zuccheri semplici ( saccarosio, farine raffinate) preferendo carboidrati integrali: questi infatti hanno un assorbimento piu lento a livello intestinale, e provocano quindi un aumento della glicemia ematica piu graduale e modulato, con un miglior controllo dell’appetito, evitando inoltre le conseguenze delle fluttuazioni glicemiche. La capacità dei cereali integrali di ridurre l’infiammazione, è anche dovuta anche alla loro azione di modulazione di sostanze pro e antinfiammatorie: un gruppo di allergologi ha evidenziato come da una parte i cereali, favorendo la produzione di IL-10 sono in grado di indurre nel sistema immunitario una risposta tollerogena, che genera quindi una maggiore accettabilità da parte dell’organismo, della sostanza introdotta sottoforma di alimento, contemporaneamente sono in grado di ridurre la produzione di sostanze che stimolano l’infiammazione, come l’IL-5 e IL-13.
La riduzione del picco glicemico, e degli effetti ad esso correlati, si ottiene inoltre, abbinando nello stesso pasto, proteine, carboidrati, semplici e complessi, e grassi.
Un grande alleato, le proteine.
Inizialmente abbiamo evidenziato come le diete restrittive portino, negli anni, ad una riduzione della massa magra e del dispendio energetico, causa di invecchiamento precoce e favorente l’accumulo adiposo. In un recente studio si è verificato che per una adeguata crescita muscolare, correlata quindi all’aumento del metabolismo basale e quindi alla perdita del peso in eccesso, si ottiene distribuendo le proteine della giornata in modo corretto, in tutti e tre i pasti della giornata, e non concentrandoli, come accade spesso, soprattutto in alcune diete “dissociate” solo nel pasto serale; l’interesse della ricerca in campo nutrizionale infatti, non punta solo a determinare quali e quanti nutrienti siano ottimali per il nostro benessere, ma quale sia il momento ottimale per assumerli. Una quota di proteine ad ogni pasto quindi, ha un triplice effetto: aiuta il mantenimento della massa muscolare, concorre alla modulazione dei livelli di glicemia, ritardando lo svuotamento gastrico, meccanismo grazie al quale, inoltre, aiuta a mantenere piu a lungo il senso di sazietà.
E’ fondamentale però anche capire quando e cosa mangiare, oltre che “quanto”. Fare una abbondante prima colazione è, un importante segnale che aiuta a mantenere attivo il metabolismo e preserva la massa magra, al contrario dell’abitudine di riservare al pasto serale, la quota piu abbondante di calorie.
Il buongiorno inizia dal mattino.
Secondo uno studio pubblicato su Diabetes Care, la prima colazione avrebbe la capacità di prevenire le 4 principali malattie del benessere, ossia obesità, sindrome metabolica, ipertensione, diabete. Lo studio ha seguito 3.500 persone per quasi vent’anni, registrando le abitudini alimentari tra le quali fare o meno la prima colazione: chi era solito saltare la prima colazione, aveva piu facilità all’aumento di peso, con un aumento medio di due chili. Si è registrato inoltre, negli individui in sovrappeso che facevano colazione, una tendenza alla perdita di peso, mettendo in relazione la colazione con l’attivazione del metabolismo, e la normalizzazione dell’appetito. In un altro studio, oltre 2000, giovani di entrambe i sessi, sono stati monitorati per 5 anni: quelli che saltavano la colazione avevano un BMI maggiore rispetto a quelli che facevano colazione, questo nonostante in molti casi chi faceva colazione mangiava di piu, nell’arco della giornata, probabilmente perché erano anche piu attivi, rispetto a coloro che saltavano la colazione. Paradossalmente, saltare, o limitare fortemente, la prima colazione, nel tentativo di perder peso, pare avere effetti opposti. Un potenziale meccanismo alla base dell’associazione inversa tra apporto calorico a colazione e variazione di peso è l’azione lipogenica dell’insulina. Livelli circolanti relativamente più elevati di insulina in risposta al consumo di cibo possono aumentare la lipogenesi. Altri elementi sono emersi dallo studio: coloro che consumavano cereali integrali almeno una volta al giorno mostravano un rischio ridotto di aumento di peso, rispetto a chi non consumava mai cereali integrali.
La salute inizia dal piatto… tripartito.
In ultima analisi, un pasto composto da cereali integrali, proteine di qualità, frutta e verdura, grassi, può rappresentare un ottimo approccio alimentare, affiancato ovviamente ad una costante attività fisica, imprescindibile per il mantenimento del peso e di un buono stato di salute.
L’attenzione quindi si sta spostando, non più sul calcolo delle calorie, ma sulla composizione dei nutrienti, che nel nostro corpo attivano una serie di segnali che possono favorire e concorrere a mantenere una corretta forma fisica, e non da ultimo un maggiore livello di energia e qualità della vita.
Mangiamo meglio, non meno.
Manuela Navacci
Dottoressa in Scienze dell’Alimentazione

Il lato oscuro della medicina
di Luca Speciani Articolo tratto dal numero 127 de L’altra