Eccoci ad una nuova puntata della saga del colesterolo e dei grassi saturi. Le menzogne della scienza ufficiale si susseguono a ritmo incessante, ma ormai è diventata la gara dell’arrampicata sugli specchi. Ora che il brevetto delle statine sta per scadere, un nuovo mostro è stato lanciato sul mercato: gli anticorpi monoclonali inibitori della PCSK9. Per questo bisogna giustificarlo con nuove “evidenze”. Dall’altro lato della barricata, sempre più medici e scienziati si schierano contro la bufala del colesterolo, chiedendo a gran voce di terminare questa farsa.
Una smentita che viene dall’Oriente
Circa un mese fa, è uscita una bellissima review su Annals of Nutrition and Metabolism [1], che vi invito a leggere, che analizza tutte le evidenze disponibili sui presunti effetti deleteri del colesterolo alto nella popolazione giapponese. Che ci importa dei Giapponesi, direte voi? Bene, il Giappone è la nazione in cui si vive più a lungo nel mondo e la mortalità per malattie cardiache è solo il 7% di tutte le cause di mortalità. Di gran lunga minore di quella degli altri paesi occidentali. Il fatto più sorprendente però è la relazione tra colesterolo totale e LDL (sì, proprio quello) e mortalità: più il colesterolo è elevato (sia totale che LDL) e più la mortalità per tutte le cause diminuisce , e questo si osserva in praticamente tutti gli studi epidemiologici fatti in Giappone. Quindi, l’assunto “ the lower the cholesterol, the better”, ripetuto come un mantra ormai da decenni, è errato.
Ma anche in Europa…
Anche in Norvegia è stato osservato un fenomeno simile, ben descritto nello studio di Pertusson et al. [2] dove 52000 norvegesi di età compresa tra 20 e 74 anni sono stati seguiti per oltre 10 anni e i risultati hanno mostrato che, in particolare per le donne, il colesterolo alto è un fattore protettivo. Per non parlare del PROGETTO MONICA dell’OMS, nato negli anni 80 per monitorare la mortalità cardiovascolare e i relativi fattori di rischio nella popolazione. Esso ha coinvolto 32 centri in 21 paesi, monitorando 10 milioni di persone tra i 20 e i 65 anni per 10 anni. I dati sono ancora oggi usati per analisi, e mostrano che i paesi in cui il colesterolo medio è più elevato, come la Svizzera, hanno una mortalità più bassa. Inoltre è bene sottolineare che in tutto il mondo le donne e gli anziani vivono più a lungo e meglio se hanno il colesterolo alto.
Una apparente “disgrazia” che potrebbe rivelarsi un vantaggio.
Non ci sono evidenze nemmeno per i soggetti affetti da Ipercolesterolemia Familiare, un disordine genetico caratterizzato da altissimi livelli di LDL dovuti a un difetto dei recettori delle stesse. Infatti, studi che hanno comparato i livelli di colesterolo in soggetti con Ipercolesterolemia Familiare e malattia cardiaca e soggetti con Io stesso disordine genetico ma sani, non hanno mostrato differenze significative nei livelli. Si ipotizza infatti che il tasso più alto di mortalità per malattia cardiaca che questi soggetti realmente mostrano (solo nella variante omozigote però), non sia dovuto al colesterolo, ma a diversi fattori tra cui:
1) Un aumento del fibrinogeno,( che promuove la formazione di trombi), che queste persone hanno spesso elevato.
2) Una nutrizione insufficiente a livello delle arterie, dovuta al malfunzionamento dei recettori delle LDL, in quanto queste ultime trasportano colesterolo e fosfolipidi che sono i costituenti principali delle membrane cellulari e senza recettori non possono svolgere il loro compito.
Questi soggetti sembrano quindi disgraziati rispetto alla popolazione “normale”, in realtà, potrebbero avere un vantaggio enorme, così come succede nell’anemia falciforme rispetto alla malaria. Infatti nei primi anni del 1900, quando le infezioni erano la principale causa di morte, i soggetti con Ipercolesterolemia Familiare vivevano più a lungo degli altri, come mostrato in uno studio olandese [3]. Ciò è dovuto al fatto che le LDL sono in grado di legarsi e inattivare batteri, LPS (Lipopolisaccaride) e virus, quindi rappresentano un’importante linea di difesa primaria contro le infezioni; perciò avere alti livelli di LDL rappresenterebbe un vantaggio nel caso di una pandemia. Nonostante questi risultati, si continua a spingere l’uso delle statine per abbassare il colesterolo LDL, addirittura c’è chi propone di portarlo a 20 mg/dl!
Un inganno sponsorizzato
Proprio pochi giorni fa è uscito uno studio sul BMJ (British Medical Journal)[4], che afferma che le statine insieme ai fibrati negli anziani sani possono ridurre l’incidenza dell’ictus del 30%.
Ora chiariamo alcuni punti:
1)Il colesterolo NON è un fattore di rischio per l’ictus. Non ci sono evidenze di nessun genere in letteratura, anzi pare che il colesterolo basso AUMENTI il rischio di ictus! Un esempio è uno studio pubblicato su Lancet che ha revisionato 45 studi prospettici osservazionali che hanno coinvolto ben 450000 individui con 5-30 anni di follow-up, durante i quali ci sono stati 13397 persone con ictus. Non c’è stata associazione con i livelli di colesterolo.
2) Sappiamo che abbassare il colesterolo negli anziani è pericoloso.
3) Nello studio sul BMJ, gli autori dichiarano “ non abbiamo trovato associazioni tra l’uso di statine e fibrati e la malattia coronarica”. Ovvero, nessun beneficio nella riduzione delle malattie cardiovascolari!
Come?? Le statine non erano il farmaco miracoloso per le malattie cardiache?Ricapitoliamo: lo studio afferma che abbassare il colesterolo riduce il rischio di ictus, quando il colesterolo alto non è un fattore di rischio per l’ictus, e in più non è stato ridotto il rischio di malattia coronarica, la quale sicuramente aumenta il rischio di ictus! Una vera farsa, condita dal fatto che lo studio è stato finanziato da una nota azienda produttrice di statine!
La morale è che i media hanno strombazzato che altri milioni di persone potrebbero beneficiare delle statine…
Le evidenze si accumulano
In più un altro studio sull’ American Academy of Neurology [5], ha esaminato l’associazione tra vari lipidi e 2 markers di malattia dei piccoli vasi cerebrali presenti nelle Risonanze Magnetiche: l’ iperintensità della sostanza bianca e le lacune, che sono potenti predittori di ictus e demenza. Lo studio comprendeva 2608 partecipanti e ha mostrato che le LDL elevate sono associate ad una minore frequenza e severità dei markers alla risonanza, e nei soggetti in terapia con statine l’associazione con le suddette lesioni era più forte!
Non ci sono solo le statine e simili però… Non dimentichiamoci la dieta!
Linee guida fondate sul nulla
Sono circa 50 anni che ci dicono che i grassi saturi sono nocivi e causano qualsiasi malattia, dall’infarto al cancro. In realtà non c’è, né c’è mai stata alcuna evidenza scientifica che provasse questo fatto. Ultimamente sono usciti diversi studi e metanalisi che confutano questa credenza, ma vengono ignorati. Infatti tutti gli “esperti” raccomandano un introito di grassi saturi dal 5 al 7%, massimo 10%! Uno studio meraviglioso su Openheart (BMJ) [6] uscito da poco, ha analizzato le evidenze basate su studi controllati e randomizzati (il gold standard della scienza) che erano disponibili quando le famigerate linee guida per i grassi furono introdotte in America e nel Regno Unito negli anni 70-80. Ebbene, neanche uno studio randomizzato e controllato! Non solo, le raccomandazioni si basavano su studi secondari fatti su 2467 uomini, che mostravano zero differenze nella mortalità totale e cardiovascolare tra il gruppo high-fat e quello low-fat, nonostante quest’ultimo mostrasse una netta riduzione del colesterolo.
Capite? Linee guida per 276 milioni di persone fondate sul nulla e dagli effetti devastanti. Infatti il tasso di obesità, infarti e diabete ora è ai massimi storici.
E gli autori giustamente concludono dicendo”le raccomandazioni dietetiche non solo necessitano di una revisione, ma non avrebbero dovuto essere introdotte”.
Una sostituzione poco proficua
Ricordiamo inoltre, ai fans degli oli vegetali ricchi di omega 6, come mais,soia,girasole e colza, che sul BMJ nel 2013 [7], si sono valutati gli effetti della sostituzione dei grassi saturi nella dieta con oli ricchi di acido linoleico omega 6, in 458 uomini tra i 30 e i 59 anni con un recente evento coronarico e seguiti per 7 anni in uno studio randomizzato e controllato dal 1966 al 1973.
Sono stati integrati questi risultati a quelli disponibili già in letteratura tramite una metanalisi aggiornata ed è emerso che:
sostituire i grassi saturi con oli ricchi di omega 6, come raccomandato da anni per diminuire le malattie cardiovascolari, ha mostrato un aumento di mortalità per tutte le cause e per cause cardiache! Percui sarebbe ora di smettere di demonizzare i grassi della carne e dei latticini e basarsi su evidenze serie, invece di fare ridicole crociate contro le proteine animali.
Concludendo quindi, è tempo di rivedere le attuali linee guida su colesterolo e dieta e iniziare ad occuparsi veramente della salute delle persone e non solo dei soldi e del prestigio accademico. La scienza deve tornare ad essere “evidence based” e non, come dice argutamente qualcuno “eminence based”, dove un gruppo di “esperti” ben pagati dalle case farmaceutiche emette una sentenza campata in aria che non può essere discussa. E come dicono gli anglosassoni, “another nail in the coffin”, ovvero un altro chiodo sulla bara del colesterolo è stato messo. Ma si chiuderà mai questa bara?
Letture consigliate
“Diabete +40%. L’omertà sulle statine si sgretola” di Luca Speciani
“Il pericolo degli amidi liberi: LPS, infiammazione, ingrassamento” di Paola Bruzzone
“Colesterolo: amico o nemico?” di Attilio e Luca Speciani
BIBLIOGRAFIA
[1] Ann Nutr Metab 2015;66(suppl 4):1-116
Hamazaki et Al
[2] Is the use of cholesterol in mortality risk algorithms in clinical guidelines valid? Ten years prospective data from the Norwegian HUNT 2 study
Pertusson et Al Journal of Evaluation in Clinical Practice,2011
[3] Mortality over two centuries in large pedigree with familial hypercholesterolaemia:family tree mortality study.
Sijbrands et Al. BMJ 2001
[4] Primary prevention with lipid lowering drugs and long term risk of vascular events in older people: population based cohort study
Alperovitch et Al. BMJ 2015
[5] Plasma lipids and cerebral small vessel disease
Schilling et Al. American Academy of Neurology 2014
[6] Evidence from randomized controlled trials did not support the introduction of dietary fat guidelines in 1977 and 1983: a systematic review and meta-analysis
Harcombe et Al. Open Heart 2015
[7] Use of dietary linoleic acid for secondary prevention of coronary heart disease and death: evaluation of recovered data from the Sydney Diet Heart Study and updated meta-analysis
Ramsden et Al. BMJ 2013