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Junk food: come riconoscerlo, come evitarlo

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Junk food: come riconoscerlo, come evitarlo
di Luca Speciani – Medico chirurgo e dottore in Scienze Agrarie
Un elenco tristemente lungo
La follia alimentare ormai non ha più limiti. Tra isterismi e paure, tra vegani, crudisti, paleolitici, chetogenici, gluten free e intolleranti a tutto, l’industria alimentare tiene il passo e continua ad offrire lo stesso cibo industriale spazzatura di sempre, rivestito a festa.
L’offerta alimentare odierna, tra supermercati e negozi, è infatti sempre più ricca di prodotti raffinati, dolcificati, zeppi di additivi e conservanti, impoveriti di ogni nutriente ma spesso spacciati per naturali e salutari. Questi vengono chiamati, in gergo, “cibi spazzatura” (junk foods) e sono solitamente alimenti di scarsissima qualità che sono stati assoggettati a procedimenti di cottura o di raffinazione o additivati di coloranti, conservanti, dolcificanti, aromatizzanti, addensanti per farli sembrare qualcosa che non sono, o non sono più. I loro nomi li conosciamo: zucchero bianco, farina 00, grassi vegetali idrogenati, margarine, dolcificanti artificiali (aspartame, acesulfame, saccarina, ciclammati), sciroppo di glucosio e di glucosio/fruttosio, alcolici e superalcolici, bibite gassate zuccherate, dolciumi industriali, caramelle, glutammato, nitriti/nitrati e conservanti in genere, adddensanti come i “sali di fusione”.
Sebbene non si possa pensare di isolarci in una cappa di vetro, rifiutando tutto, dobbiamo tuttavia imparare a porre delle priorità e imparare a scegliere più consapevolmente tra ciò che ci fa bene e ciò che può nuocerci. Operare scelte consapevoli non è solo un investimento nella nostra salute futura. E’ anche un piccolo danno che procuriamo a chi ci pensa così sprovveduti ed ignoranti da poterci vendere cibo spazzatura in eterno. E’ solo un danno irrisorio la singola confezione che lasciamo sullo scaffale, ma tante gocce fanno un fiume e tanti fiumi un mare. Il produttore, alla lunga, deve adeguarsi. Il coltello dalla parte del manico ce l’abbiamo noi e non il produttore o il rivenditore.
Ciò che sembra, non sempre è
Gli imbrogli e i trucchetti per far sembrare le cose diverse da come sono però sono tanti. Per esempio è facile trovare, vicino ai prodotti integrali, anche l’orzo “perlato” (ovvero raffinato) o i famosi kamut o farro (varietà antiche di frumento solitamente più ricche di germe) in versione raffinata. Il massimo della presa in giro, visto che se sono raffinati, Kamut e farro sono privati del germe, che rappresenterebbe la vera differenza tra seme antico e moderno.
Altrettanto puerili mi sembrano i tentativi di inganno grazie ai quali vengono aggiunti pochi grammi di crusca (la buccia del chicco) a spaghetti o fusilli fatti di semola raffinata, indicando sulla confezione: “tipo” integrale, così da aggirare le indicazioni di legge. Noi non vogliamo consumare pasta “tipo” integrale. La vogliamo integrale. E per farla così non vi è altro modo che quello di utilizzare il chicco intero così com’è, con tutte le componenti preziose contenute nel germe, che il piccolo inganno ci avrebbe sottratto.
Spesso i miei pazienti mi dicono che hanno consumato “farina di kamut” o “riso basmati” o “pasta di mais” o “grano senatore Cappelli”. Ed io chiedo: “integrali?”. Dallo stupore capisco che non si sono posti il problema. Qualunque varietà di grano, di riso, di mais può essere raffinata o integrale. Se non c’è esplicitamente scritto “integrale” possiamo stare certi che è raffinata.
Ho visto cose che voi umani…
Se pensiamo a com’è fatto un biscotto ordinario ci rendiamo conto subito di che cosa significhi “cibo spazzatura”. La lista degli ingredienti segnala: farina 00, zucchero, grassi idrogenati, sale, aromi. Non c’è un solo alimento completo tra tutti quelli indicati. Poi li chiamano “la colazione ideale del mattino per i tuoi ragazzi”. E il gran giurì della pubblicità non ritiene di dover intervenire per pubblicità ingannevole, se si parla di cibo salutare in presenza di margarine o di grassi idrogenati, sostanze a fronte delle quali anche il famigerato olio di palma sembra extravergine.
Recentemente sono state toccate vette inaudite. Ho visto un buondì “integrale”, zeppo di zucchero, che di integrale aveva davvero poco o nulla (la cui insultante pubblicità spiegava che finalmente c’era un prodotto “integrale” che non sapeva di cartone…). Ho visto delle fette biscottate “integrali” che univano solo crusca e farina 00. Ho trovato biscotti “salutari” in cui viene riutilizzato l’amido cosiddetto “resistente” (come quello del pane raffermo, che ha indice glicemico più basso di quello normale), con tanto di curva glicemica esposta sulla confezione. Ho visto delle brioche al miele in cui il 70% della farcitura era uno sciroppo di glucosio-fruttosio (e allora chiamala brioche al glucosio-fruttosio). Ma fare un prodotto – magari giustamente arricchito e insaporito con burro, uova, olio extravergine, noci, cacao ecc. – che abbia però la componente di farina 100% integrale è così difficile?
La cosa più comica è poi la totale incoerenza dei “claim” sulle confezioni. Orrende miscele di zucchero, farina bianca, oliacci vegetali, aromi, additivi e conservanti, vengono spacciati per sani con diciture ridicole come “senza uova” o “senza olio di palma”, e accompagnati da scritte vergognose che più o meno recitano: “proteggi la tua salute senza rinunciare al gusto!”, come se un mix di zucchero e farine bianche potesse proteggere qualcosa. Il tutto nel silenzio asservito più totale degli organi di controllo.
Che fare?
In una situazione così degenerata, in cui l’attenzione dei media e del governo è sviata da altri problemi di salute pubblica di entità molto più lieve (dalla “epidemia” di varicella agli orari di apertura dei medici di base), nessuno tra quelli che sono lautamente retribuiti per farlo si occupa di ridurre l’impatto disastroso del Junk Food su diabete, obesità, cancro e malattie cardiovascolari, che generano, solo in Italia, decine di migliaia di morti precoci ed evitabili ogni anno.
Visto che a livello centrale, quali che ne siano le cause, la prevenzione non si fa (il governo Monti cadde inspiegabilmente pochi giorni dopo aver proposto una tassa sullo zucchero aggiunto in alimenti e bevande), l’unica via oggi possibile è quella dell’autodifesa.
Un primo importante successo si ha quando i nostri pazienti imparano a non dolcificare, e a gustare il vero sapore degli alimenti invece di quello contraffatto dalla dolcificazione. Ma anche quando imparano a cucinare la maggior parte dei cibi con cui si alimentano, partendo da materie prime naturali e salutari, evitando i cibi industriali sempre eccessivamente ricchi di sale e di zucchero. Uscire dalla dipendenza da Junk Food è facile (bastano 15 giorni totalmente puliti) ma non alla portata di tutti. Il tossicodipendente, ricordiamolo, non ammette mai la sua dipendenza: o si diventa consapevoli di ciò che si mette in bocca o la strada, per alcuni, può essere molto molto lunga. E il tempo non è detto che sia con noi così generoso.
L’annoso problema dei grassi e degli zuccheri
Di Lyda Bottino – farmacista e nutrizionista
L’idrogenazione dei grassi (un processo industriale volto a “indurire” oli vegetali di bassissima qualità) crea dei composti che il nostro corpo non conosce (acidi grassi di lunghezza anomala, come i C17) e dei composti rari da trovare in natura (acidi grassi “trans”) che rendono da una parte difficile la metabolizzazione con i nostri enzimi, dall’altra imbottiscono di nichel (un elemento dalle forti proprietà allergogene utilizzato nel processo industriale di idrogenazione) ogni nostro pasto che si basi su cibi “industriali”.
Ma oltre ai grassi non sani, per molti anni le industrie alimentari hanno cercato di toglierci anche quelli sani.
Gli USA sono stati sempre all’avanguardia nel togliere grassi dai cibi, e a quel delirio dobbiamo 50 anni di prodotti light, scremati, zero, 0,1 e simili, che hanno fatto di quella nazione il paese più obeso del mondo. E poiché noi, di quel paese, scimmiottiamo sempre il peggio, nei supermercati di oggi è davvero difficile raccapezzarsi: dal latte scremato alle bibite zero, dai biscotti senza zucchero ai lecca-lecca “privi di colesterolo” è tutto un fiorire di proposte a basso impatto calorico. Chi però pensasse di dimagrire facendo colazione con il latte scremato è fuori strada: con il poco potere saziante di quel latte, si troverà affamato alle 11.00 e cadrà inevitabilmente attratto da qualche merendina o da qualche macchinetta del caffè (zuccherato) con danno di segnale molto maggiore.
L’imbroglio peggiore, tuttavia (al limite della “circonvenzione di incapace” si ha quando si trova la dicitura “senza zucchero”. A tale dicitura molto raramente corrisponde un’effettiva sottrazione di zucchero (che al limite potrebbe essere salutare) quanto piuttosto una sostituzione con un prodotto diverso, che va dal fruttosio al mannitolo, dal maltosio allo sciroppo di glucosio. Dichiarare che un prodotto è senza zucchero (magari con una piccola scritta a lato che specifica “saccarosio”), aggiungendovene un altro, può rappresentare solo una presa in giro per la dabbenaggine di quelle persone non in grado di leggere un’etichetta. Altre volte al posto dello zucchero si trovano edulcoranti artificiali, del cui potere ingrassante abbiamo già a lungo parlato su queste pagine. Alla larga dunque dai finti prodotti “senza zucchero” e dai cibi light/zero, se vogliamo restare in salute.

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